“Qualunque oblazione offrirete all’Eterno sarà senza lievito; poiché non farete fumar nulla che contenga lievito o miele, come sacrifizio fatto mediante il fuoco all’Eterno” (Levitico 2:11).
“Perciò, ricevendo un regno che non può essere scosso, siamo riconoscenti, e offriamo così a Dio un culto accettevole, con riverenza e timore!” (Ebrei 12:28); “E se anche io debba essere offerto a mo’ di libazione sul sacrificio e sul servigio della vostra fede, io ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi” (Filippesi 2:17).
“… quanto più il sangue di Cristo che mediante lo Spirito eterno ha offerto se stesso puro d’ogni colpa a Dio, purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire all’Iddio vivente?” (Ebrei 9:14).
Il complesso sistema sacrificale dell’antico Israele era una prefigurazione del sacrificio ultimo di Cristo Gesù. Attraverso il ravvedimento e la fede nella sua efficacia, otteniamo il perdono dei nostri peccati e siamo riconciliati con Dio. Di conseguenza, in riconoscenza per quanto Dio ha fatto per noi in Cristo, offriamo noi stessi al servizio di Dio e della Sua causa in questo mondo. Però, allo stesso modo in cui gli antichi sacrifici in Israele, per essere accettevoli a Dio, dovevano rispondere a precisi criteri, anche l’offerta del nostro servizio a Dio non può essere fatta come ci pare, ma “in modo accettevole”, “con riverenza e timore”, “puri da ogni colpa”. Che cosa implica questo?
Le antiche oblazioni dovevano essere fatte “senza lievito e miele”. Il lievito è simbolo dell’orgoglio, della malizia e dell’ipocrisia e il miele del tornaconto personale e del piacere sensuale. Il primo è direttamente contrario a quell’umiltà, quell’amore e quella sincerità che Dio approva, l’altro contamina il servizio per Dio e le buone opere con motivazioni indegne, fuori luogo. Cristo, con il suo ruolo e con il suo sacrificio, è stato totalmente libero dalle cose significate dal lievito e la sua vita di sofferenza e la sua morte angosciosa si è opposto ai piaceri del proprio tornaconto personale con totale abnegazione. Dio chiama il suo popolo a seguirlo ed essere simile a Lui.
Il servizio di Dio in questo mondo, per quanto lodevole possa essere, potrebbe essere contaminato (spesso in modo nascosto) da ambizioni personali, orgoglio, guadagni mondani, ecc. L’Apostolo raccomanda, per esempio, che chi assume responsabilità per un un ministerio o una comunità cristiana “… non sia novizio, affinché, divenuto gonfio d’orgoglio, non cada nella condanna del diavolo” (1 Timoteo 3:6). Anche però chi novizio non è potrebbe cadere in quello che lo stesso apostolo dice nella sua seconda epistola: “Se qualcuno insegna una dottrina diversa e non s’attiene alle sane parole del Signor nostro Gesù Cristo e alla dottrina che è secondo pietà, esso è gonfio e non sa nulla; ma langue intorno a questioni e dispute di parole, dalle quali nascono invidia, contenzione, maldicenza, cattivi sospetti, acerbe discussioni d’uomini corrotti di mente e privati della verità, i quali stimano la pietà esser fonte di guadagno” (1 Timoteo 6:3-5). Il “ miele” potrebbe essere pure una predicazione che compiaccia l’uditorio facendo appello “alla carne”, un Evangelo, cioè, senza croce (abnegazione), facile da accogliere. “Semplificare” la predicazione potrebbe essere un modo solo per attirare nuovi interessati e “far numero”, che non sia di scandalo al mondo e che non sfidi, metta in crisi, l’uditorio. Questo potrebbe sembrarci conveniente.
Di queste e simili involuzioni del servizio cristiano dovremmo stare molto attenti, perché si nascondono spesso in noi. Di quest’opera di purificazione di noi stessi come servitori di Dio, così come della Riforma, “è sempre tempo” e deve passare necessariamente attraverso l’analisi critica di noi stessi, la confessione di peccato e la riconsacrazione ad un servizio non macchiato, e quindi pregiudicato, da motivazioni sbagliate.
Riflessione di Paolo Castellina e Daniela Michelin-Salomon
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