La rubrica “Bibbia e attualità” di Riforma è sempre ricca di sorprese. Nel numero del 23 maggio 2014 il pastore battista Martin Ibarra, di passaggio in un articolo intitolato “Mitologia della violenza” – che pare avere le solite ritrite finalità ideologiche, ci informa con certezza che la presa di Gerico, lo sterminio dei suoi abitanti e, di conseguenza, i racconti connessi come quello di Rahab, sono “mitologia”, nel senso di menzogna, “poiché Gerico era stata distrutta molto tempo prima dell’arrivo delle tribù in Canaan; appunto l’oggetto disperato della costruzione letteraria era erigere una nazione partendo dalle tribù. Come era letterario il genocidio di Troia, una geniale costruzione dove l’animo umano è rispecchiato nel suo volto più violento, ma che pretendeva di raggiungere l’impossibile, unire le città greche in un’unica, ideale identità nazionale”.
Insomma: il racconto della distruzione di Gerico non solo sarebbe una consapevole menzogna, ma le sue finalità sarebbero meramente politiche: “erigere una nazione partendo dalle tribù”. Se il pastore Ibarra avesse ragione, non solo Giosuè 6, ma almeno i primi sei capitoli del libro sarebbero un cumulo di menzogne. Per di più, la finalità da lui indicata per queste menzogne implica che le tribù di Israele non fossero una nazione, e dunque non fossero composte dai discendenti dei figli di Giacobbe/Israele. Ciò, a sua volta vorrebbe dire che anche tutto il racconto da Giacobbe (Genesi 25) in poi sarebbe un’invenzione propagandistica: la disputa con Esaù, i dodici figli, Giuseppe, il trasferimento in Egitto… E anche la storia dell’Esodo dovrebbe essere una menzogna, perché se le tribù d’Israele avessero avuto in comune quella vicenda sarebbero comunque già stati una nazione e non ci sarebbe stato bisogno di inventare inutili frottole su Gerico. Praticamente, i fondamenti storico-biblici dell’ebraismo, che Gesù di Nazaret, nostro Salvatore, accettava esplicitamente per veri, sarebbero una mistificazione. Dobbiamo peraltro notare che ben difficilmente si tratta solo di opinioni del pastore Ibarra, ma devono essere ampiamente condivise, altrimenti non verrebbero pubblicate senza commenti sul “settimanale delle chiese battiste, metodiste e valdesi”, anzi, probabilmente le si insegnano alla Facoltà valdese di Teologia, cui fa riferimento anche il Dipartimento di Teologia battista. Una domanda sorge spontanea: ma con che coraggio quest’uomo, e i suoi colleghi che la pensano come lui, accettano per missione, per professione, per mestiere, di guidare comunità fondate sulla Bibbia e su Gesù Cristo? Che cosa diremmo di un vegetariano che fa pubblicità per la macelleria, di un pacifista che commercia armi da guerra? Siamo al negazionismo più radicale, alla negazione dell’esistenza di un vero popolo ebraico, che sarebbe invece esso stesso una mistificazione basata su racconti falsi. Del resto gli estremisti arabo palestinesi dicono che Mosè e Gesù non solo erano arabi, ma addirittura musulmani, e poco importa che siano vissuti molti secoli prima di Maometto.
Secondo la Bibbia, Giosuè guido il popolo d’Israele alla conquista di Gerico nel 1406 a.C. A Gerico ci sono stati abbondanti ritrovamenti archeologici dai quali tutti gli archeologi traggono la convinzione che effettivamente la città era antichissima, non è stata più abitata dopo i tempi di Giosuè (concordemente alla maledizione da lui pronunciata), a un certo punto le sue mura sono collassate e cadute, subito dopo ci fu un grande incendio, la città non si arrese per fame, non subì un lungo assedio né fu saccheggiata, visto che ci sono dei vasi pieni di grano, una parte delle mura non cadde (il che spiega perché la casa di Rahab non fu distrutta). Esattamente come dice la Bibbia. Dove gli archeologi non concordano ancora oggi, è sulla data: alcuni ritengono che i ritrovamenti archeologici siano del tutto compatibili con la datazione biblica, altri, invece, propendono per una data precedente di 120 anni o più, in ogni caso non una grossa differenza. Su cosa si basano questi ultimi? Sulla datazione carbonio 14, che gli stessi scienziati avvertono non essere precisa né del tutto affidabile, e sullo stile degli oggetti artistici ritrovati, che però altri hanno scoperto essere perfettamente compatibili con il 1406. Peraltro, a Gerico sono stati trovati oggetti egizi identificabili dai geroglifici di Hatsepshut, Tutmosis III e Amenhotep III, che regnarono dal 1479 al 1398 circa.
Insomma, la disputa è aperta, ma da parte di Ibarra c’è una sorta di “atto di non fede“: tra due posizioni di studiosi egualmente prestigiosi, una concorde con la Bibbia, una contraria, sceglie senza esitazioni la seconda. E, quel che è molto peggio, di questa discrepanza di 120 anni dà per certa la spiegazione più micidiale nei confronti della veridicità della Bibbia, e cioè che il racconto sarebbe un falso per far credere che il popolo di Israele fosse un popolo e non un’accozzaglia di tribù, come è stato insegnato al pastore Ibarra. C’è da pensare che non cambierebbe idea neppure se ritrovasse la piastrina militare di Giosuè e una corda rossa con il nome di Rahab.
Ci rassicura tuttavia che sfoggi la sua mal riposta sicurezza anche su Troia: così come il racconto biblico su Gerico, anche quello della guerra di Troia sarebbe – secondo lui – una menzogna politica, con la bizzarra finalità di una anacronistica volontà unitaria greca, del tutto assente ai tempi della composizione dell’Iliade; semmai poteva essere d’attualità nel V secolo per contrastare i Persiani, almeno duecento anni dopo. Se poi l’idea era questa, non si vede perché l’autore imperni tutto il poema sulla feroce contrapposizione dei due capi greci Achille e Agamennone e riporti ampiamente episodi tutt’altro che onorevoli per i Greci. Forse Ibarra non ha sentito parlare di Schliemann. Né ha mai sentito che una serie di dubbi sulla veridicità storica di molti racconti biblici sono stati smentiti proprio dall’archeologia. Ma,da pastore battista, dovrebbe sapere che “la Bibbia è la sola testimonianza autentica e normativa dell’opera di Dio per mezzo di Gesù Cristo. In quanto lo Spirito Santo la rende Parola di Dio, essa va studiata, onorata e obbedita.”, che è quanto dice l’articolo 3 della Confessione di Fede dell’Unione delle Chiese Evangeliche Battiste in Italia, alla quale il pastore Ibarra appartiene.
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