Riceviamo e pubblichiamo questa lettera inviata a Riforma, e non pubblicata.
Manifesto la mia indignazione per l’articolo di Riforma dell’8 luglio 2016, “Fede e spiritualità”. Ora si cita e si commenta il Corano per validare il testo evangelico e spacciare le parole di Maometto come parole valide per capire e conoscere meglio Dio (Allah), come se le Scritture coraniche fossero equiparabili alla Bibbia e il profeta musulmano simile ai profeti dell’Antico Testamento. A poco più di un mese dal Sinodo, dove i rappresentanti dei credenti valdo-metodisti valuteranno l’operato della Tavola e di tutta la chiesa valdese, mi chiedo, e mi richiedo, non solo se siamo ancora riformati – come nel 2015 alcuni si sono chiesti attraverso Riforma – ma se siamo ancora cristiani e credenti. Sono indignato di questo tradimento della fede apostolica e scritturale. Tradimento della Parola di Dio in Cristo. Non lascerò la chiesa valdese – anche se ad alcuni do fastidio – ma chiedo a Dio che faccia tacere i falsi apostoli, dottori, evangelisti, ecc. e susciti nuovi Gedeone, Debora, Geremia, Giovanni Battista, e nuovi riformatori. È quello di cui in questo momento la chiesa valdese ha più bisogno.”
Prima di tutto perché non si può rimanere indifferenti a quanto succede intorno a noi e, là dov’è possibile, occorre esprimere un parere se possibile utile.
Cosa succeda intorno a noi, al di là del perimetro cristiano e valdese, è più che evidente: crisi mondiali e locali su tutti i fronti ed un’incapacità generale a risolverle e, nonostante si mettano in campo le migliori organizzazioni ed analisi, esse si accentuano.
Guardando in casa propria, o esaminando la vita collettiva delle chiese evangeliche (escludendo per ora le altre chiese cristiane), domande importanti si sono fatte via via più dettagliate nel 2015 e sono state condivise su Riforma.
Dall’articolo del 10 giugno 2016 “Siamo ancora riformati?” si evidenzia una omologazione che se non colpevole è alquanto contraddittoria: “Pure all’esterno, dove non sarà possibile notare una poi così grande differenza tra noi e altri nel modo di essere chiesa e di vivere la vita cristiana...” E si evidenzia una urgenza: “Lo abbiamo detto e scritto in privato, sui social media, e ai nostri responsabili ecclesiastici: sentiamo come urgenza che il nostro protestantesimo tenti di vivere e annunciare con vocazione coerente… e annunciare un messaggio che non è suo, senza per questo inseguire una visibilità tutta mondana che nulla ha a che vedere con la nostra chiamata cristiana”.
Nel numero seguente, il 17 giugno, Maria Bonafede, con un colpo alla botte e l’altra al cerchio, riprende l’argomento e ammette che i redattori dell’articolo precedente dicono la verità. Pertanto la sofferenza e il bisogno di cambiamento sono fortemente sentiti: “Mi si stringe il cuore e mi fa male ogni volta che vedo risucchiare nell’indifferenziato storie, pensieri, fede e preghiere che hanno costituito l’anima e il nerbo dell’esistenza di molta parte della nostra chiesa… Ma che si debba affermare che esiste un altro modo di essere cristiani e che la chiesa valdese, pur nella sua piccolezza, è altra rispetto a… E poi ripassiamo la nostra fede, ripassiamo il fatto che l’unico mediatore tra le persone che credono e Dio è il Signore Gesù Cristo, che altre presenze siano figure celesti, icone o gerarchie non solo non servono ma deviano dalla retta fede.” Anche se tutto è cominciato da una critica positiva alla visita del Papa, come non condividere queste parole che sono un allarme?
Ma le domande importanti a mio parere in quell’anno 2015 non sono finite.
In un articolo di Claudio Pasquet, “Non rassegniamoci alla secolarizzazione”, proprio in seguito a quelli precedenti, egli sottolinea: “Non credo di sbagliare dicendo che questi temi (etica, solidarietà e laicità) monopolizzano l’attuale dibattito all’interno delle chiese valdesi e metodiste. Sono argomenti che sicuramente ci danno una certa popolarità (anche fra i veri radical chic), ma quanto incidono come predicazione dell’Evangelo all’esterno e all’interno delle chiese? Benedizione di coppie omosessuali, dibattito sul fine vita, denaro dell’otto per mille per tutto, ma non per le chiese… sono tutte cose profondamente condivisibili, ma la nostra fede dovrebbe sempre annunciare, nel contempo, una speranza che trascenda il «qui e ora»! … l’esplicito e forte riferimento al Signore che ci spinge all’impegno resta sottinteso o non traspare… Per molto tempo ci siamo vantati di non essere la chiesa degli assoluti e della certezza, abbiamo detto che il dubbio è e resta fondamentale nella ricerca di fede, ma non abbiamo in
questo modo assolutizzato il dubbio, mettendo in dubbio l’Assoluto? Grazia, speranza, resurrezione, giudizio di Dio, quanto sono rimaste al centro della nostra fede? Dobbiamo riappropriarcene nella nostra predicazione e nelle nostre riflessioni comuni. Egli termina l’articolo citando Giovanni Calvino a cui auspica si faccia riferimento e ritorno.
Sergio Rastello
(prima parte – continua)
eh già, perchè ora si usa la banale scusa dell’accoglienza per arrivare alla deplorevole conclusione di paragonare la Bibbia al Corano e Maometto a un porfeta. Maometto, i cui meriti si riducono all’avere accalappiato una fortuna finanziaria nella persona di una ricca vedova, Khadija, che ebbe l’infelice idea di sposarlo (povera lei). Grazie a quei denari Maometto potè pagarsi l'”egira” e fondare la religione musulmana che nulla ha a che vedere nè con il cristianesimo nè con il giudaismo. Ma tant’è.In nome di una discutibilissima accoglienza si barattano i valori cristiani. Ma non ci vuole un genio per capire che i musulmani non baratterebbero mai i loro, di valori, nè nei loro paesi di origine, nè in Europa. E se anche lo facessero (cosa che non accadrà) non è una giustificazione per apostatare dal cristianesimo. La chiesa degli Atti non lo avrebbe fatto. Gli apostoli non lo fecero. I profeti veterotestamentari non lo fecero. La regina Ester non lo fece neppure vivendo in una corte pagana…
Dobbiamo pregare per somigliare a loro e soprattutto a Gesù