QUANDO LA BIBBIA È DAVVERO BIBBIA – Anche su Riforma

Il settimanale Riforma sorprende in queste settimane per una serie di articoli nella rubrica “Bibbia e attualità”. Qui molto spesso abbiamo trovato prese di posizione, per sostenere le quali si stiracchiano per i capelli alcuni passi biblici che vogliono dire tutt’altro. Insomma, si cerca di adattare la Bibbia alle proprie convinzioni, fallaci e passeggere, creando proprio quelle “incrostazioni culturali” che i teologi alla moda pretenderebbero di togliere dalla Bibbia stessa.

Recentemente, però, alcuni pezzi, più d’uno era di Roberto Davide Papini, fanno l’opposto, osservando che anche nel nostro mondo di oggi, così diverso da quello dei tempi di Abramo, o di Mosè o di Gesù, “Dio viene prima di tutto”, come dice il titolo del 27 giugno. Insomma, dicono che si dovrebbe adattare se stessi a quanto la Bibbia insegna. In quell’articolo, ad esempio, partendo dalle manifestazioni plateali, ma sincere di un calciatore che esprime la propria fede e il proprio convincimento che a Dio spetti il primo posto davanti a tutte le cose, ricorda il dovere di testimoniare la propria fede, e che le abitudini di sobrietà e discrezione a volte mascherano semplicemente il rifiuto di testimoniare. Appropriate citazioni bibliche, tra le quali Romani 1:16, “non mi vergogno del Vangelo”, Deuteronomio 6:7, “… ne parlerai”, e Galati 1:10: “Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo” (Galati 1:10).

Anche diverse meditazioni bibliche sono degne di nota, ad esempio quelle del pastore Jean-Felix Kamba Nzolo. Citiamo il finale di quella dell’11 luglio, “La condivisione del pane della Parola”:

“Il pericolo per noi cristiani di oggi è di mettere, inconsciamente e insidiosamente, altre “autorità” accanto al Cristo e alla Scrittura sacra. A volte si tratta delle nostre abitudini o tradizioni ecclesiastiche, altre volte sono la nostra esperienza e la soggettività a occupare il primo posto nella nostra vita. Paolo ci invita a radicarci nella Parola, a nutrirci di essa, in modo che essa abbia un’autorità normativa nella nostra vita.”

Sembra di leggere la Confessione di Fede del 1655: “conviene ricevere, come riceviamo, questa Santa Scrittura per divina e canonica, ciò è per regola della nostra fede e vita” (articolo 3).

Speriamo di non creare problemi al pastore Kamba Nzolo e a Roberto Davide Papini, dicendo che sarebbe auspicabile che chi scrive così dovrebbe avere maggiore ruolo interno ed esterno. Ma forse per il primo ci sono difficoltà, essendo parte di quelle comunità etniche che – guarda un po’ – su certi argomenti la pensano come i valdesi da tempo immemorabile, e dunque non come la nomenklatura ordina si debba pensare oggi.

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