Abbiamo già scritto che il Sinodo Valdese 2016, svoltosi due settimane fa a Torre Pellice, ha ascoltato solennemente in piedi la lettura di una cosa definita “Confessione di fede” e sottotitolata “Credo post-apostolico”.
Vale la pena citare una delle poesie più famose dell’autore di tale testo, Kurt Marti, forse la più famosa: “Un povero diavolo”. Dopo qualche verso sui cattivi ricchi e i buoni poveri, si passa a parlare di Gesù:
una volta
si chiamava
Gesù di Nazareth
un povero diavolo
che non lasciò in eredità
nient’altro che il vestito
che portava addosso
un povero diavolo
che non lasciò in eredità
nient’altro che la rivoluzione dei poveri
per tutti i secoli dei secoli amen”.
La desolante poesia è del tutto coerente con il cosiddetto Credo “adottato” dal Sinodo:
Gesù non è null’altro che un attivista politico “dei poveri” che li guida alla “rivoluzione” e alla “liberazione”. Secondo le parole di Marti, chi è ricco, o anche solo non povero, non ha bisogno di Cristo, e se anche fosse, Cristo non è venuto per lui. In cosa consisterebbe questa rivoluzione? Nella conversione? Non pare proprio, poiché anche i ricchi sono chiamati alla conversione, ma è chiaro che sono esclusi dalla rivoluzione dei poveri. La logica vuole che la “liberazione” alla quale questo Cristo dovrebbe portare i poveri sia di carattere del tutto materiale: insomma, diventare ricchi, o per lo meno non più poveri. A quel momento, proseguendo nel ragionamento, Cristo non serve più a nulla.
Allora, visto che Gesù è solo per i poveri, è importante chiedersi chi sia ricco e chi sia povero. L’esperienza quotidiana e anche alcune indagini sociologiche ci dicono che pressoché tutti tendono a ritenere ricchi coloro che guadagnano o possiedono più di loro, e in gran parte non ritengono sufficienti il proprio patrimonio o il proprio reddito e dunque si ritengono in qualche modo poveri.
Insomma, il bel messaggio di Marti è il seguente: gli altri sono cattivi perché sono ricchi, ma Gesù è dalla tua parte perché sei povero e ti aiuterà a diventare ricco (o non più povero). Una cosa molto simile all’”Evangelo della prosperità” che si pratica in certe chiese evangeliche: credi in Gesù (e non ti dimenticare di dare la decima al pastore!) e i tuoi guadagni aumenteranno. La differenza è che questi predicatori di solito esortano a lavorare sodo e osare nuove attività economiche per avere una vita più agiata. Quelli come Marti, invece, propongono una via politica per prendere i soldi ai ricchi, cioè agli altri.
Insomma, gli antichi Valdesi che preferirono, fino all’emancipazione del 1848, restare attaccati alla loro religione a costo di restare confinati nella loro area condannati alla povertà dall’asprezza del territorio e dalla povertà dell’agricoltura di montagna, sbagliavano! Il punto vero era uscire dalla povertà, non essere fedeli a Dio. Dunque potevano intanto convertirsi al cattolicesimo, ricevere le terre promesse ai convertiti e poi, dai loro comodi casali in pianura, lanciare strali contro i ricchi (cioè quelli con casali più grandi).
E il Sinodo Valdese si è alzato in piedi e ha testimoniato di credere in questa roba!
La visione neo bolivariana di papa Francesco è la Teologia del pueblo, derivazione argentina della Teologia della liberazione che rifiuta la lettura marxista della realtà e la lotta di classe, ma valorizza il ruolo del popolo (il “santo popolo”, come lo definisce spesso Bergoglio), considerato come la risorsa numero uno dell’America Latina. http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3469
Ma perché allora non cambiano nome al loro periodico da “Riforma” a “Rivoluzione”?
Nelle parole di Guillaume Groen Van Prinsterer (1801-1876):
“La Riforma liberò l’Europa dalla superstizione; la Rivoluzione (francese) ha gettato il mondo civilizzato in un abisso d’incredulità. Come la Riforma, la Rivoluzione tocca ogni sfera dell’agire e del sapere. Ai giorni della Riforma il principio dominante era la sottomissione a Dio; oggi è la rivolta contro Dio……La Rivoluzione parte dalla sovranità dell’uomo, la Riforma dalla sovranità di Dio. Nella prima la rivelazione è giudicata dalla ragione; l’altra sottomette la ragione alle verità rivelate. La prima sguinzaglia le opinioni personali;l’altra conduce all’unità della fede. La prima allenta i legami sociali, persino quelli familiari; l’altra li rafforza e li santifica. La seconda trionfa attraverso i martiri; la prima si regge sui massacri. La prima sale da una voragine senza fondo; la seconda scende dal cielo”.
Vien proprio da dire: “Non c’è più religione!”…
Ironica ma efficace la disanima del sig. Giampiero, però mi pare che utilizzare il termine rivoluzione per descrivere il pensiero di molti frequentatori della nostra chiesa possa costituire un affronto a chi (nel bene e nel male) nutre veramente idee ed atteggiamenti rivoluzionari.