Pastore valdese spiega differenza tra “peccato” e cosa invece “dono di Dio” ma non capiamo (3)

Prosegue il nostro commento all’intervista al pastore Emanuele Fiume: qui si trova la seconda parte.

L’intervistatore cerca di arrivare a qualche conclusione comprensibile e chiede: Quindi per voi l’omosessualità è un peccato che non esclude chi lo compie dalla vita della Chiesa? O voi, semplicemente, non lo considerate un peccato, al contrario di altre confessioni?” Infatti, prima non si era capito.

Ma, dalla nuova risposta del pastore ancora non capiamo. Vedete voi: «Noi consideriamo tutti come peccatori, in primis quelli che frequentano le chiese. Anche io lo sono, da eterosessuale. Non intendiamo andare a proporre casistiche. Il peccato è uno stato di sordità rispetto alla parola di Dio.» Che siamo tutti peccatori lo sappiamo. Ma che tutto sia peccato è ben altra cosa.

Subito dopo, però, il pastore dice qualcosa di completamente diverso:

«E le parole e la prassi di Gesù ci chiamano all’accoglienza di ogni esperienza e di ogni scelta improntate all’amore quale dono di Dio.» Solita storia: buonismo e ambiguità. Cosa vuol dire “accoglienza”? Che va accettato anche se è peccato o – come fa pensare il fatto che addirittura si benedica liturgicamente qualsiasi coppia (per ora ci si ferma alle coppie) – che non èpeccato? Cosa vuol dire “quale dono di Dio”? Che ciò che mi piace lo chiamo “dono di Dio”? Ricordiamo che una pastora ha definito “dono di Dio” il fatto di avere relazioni sessuali con uomini e con donne. Insomma: tutti siamo peccatori, a priori, ma con la giusta formula il peccato scompare. Si dice di solito che bisogna odiare il peccato e amare il peccatore. Qui è quasi il contrario: tutti sono peccatori, ma ciò che la Scrittura definisce come peccato non è peccato, dunque va accolto, basta immaginare sia “dono di Dio”. Gesù, dunque, avrebbe dovuto chiedere all’adultera se il suo adulterio era “improntato all’amore quale dono di Dio” e in caso la risposta fosse sì, benedire la coppia! Invece, no: non avendo frequentato la Facoltà di Teologia, dà per scontato che la donna avesse commesso un peccato e le dice dio non peccare più! A quanto pare, non era “biblico al cento per cento”!

Il paziente intervistatore non demorde e chiede se allora ogni comportamento sessuale è lecito. Risposta: «Esistono, va detto, delle situazioni di vero e proprio peccato sessuale. Mi riferisco alle prostitute di via Salaria, ai viaggi di turismo sessuale, dove siamo su percentuali spaventose. Ma su questo argomento si glissa…». Su questi esempi possiamo facilmente trovarci d’accordo, ma due obiezioni di vengono in mente. La prima: perché “evangelicamente” siamo così sicuri che questi siano peccati? Dove sta il confine? La bisessualità, vissuta come “dono di Dio” dalla citata pastora implica anch’essa rapporti transitori: allora, qual è la durata minima di un rapporto per essere “dono di Dio”? Se un mese forse è poco, allora un anno? Ma che bisessuale è quello che per ben un anno sacrifica metà della propria “irreprimibile” sessualità? Se invece un mese è sufficiente allora basta che il turista sessuale si fermi nella sua meta un mese e questa sua pratica può essere considerata “improntata all’amore quale dono di Dio”? Seconda obiezione: se il turismo sessuale è peccato, non dovrebbe esserlo anche quello riproduttivo? Quello dell’utero in affitto? Se fruire della prostituzione della via Salaria, una somma di denaro in cambio di un rapporto sessuale, è peccato, non lo è forse anche l’acquisto dell’ovocita di una giovane donna o dello sperma di un giovane uomo, per produrne un bambino che non vedrà mai la madre o il padre, ma geneticamente sarà loro figlio? Silenzio.

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*