“Ma se Dio mi ha fatto così?”

Pubblichiamo un articolo di John Frame (1939), teologo e filosofo calvinista americano. Attualmente è professore di Teologia Sistematica e Filosofia al Reformed Theological Seminary di Orlando in Florida. Frame è laureato alla Princeton University, al Westminster Theological Seminary (dove ha anche insegnato) e alla Yale University. Ringraziamo il membro di chiesa valdese che ce l’ha inviato, chiedendo di rimanere anonimo (il che la dice lunga sulla diffusione dell’intolleranza nella nostra chiesa).

Aggiungiamo che l’articolo si spinge molto più in là di quanto chiedemmo con l’Appello al Sinodo dell’anno scorso, dove ci limitammo ad “appellarci umilmente” all’alto consesso affinché ricordasse i numerosi passi biblici che condannano l’omosessualità prima di addirittura benedirne la pratica. Fummo ascoltati solo da quel 41% dei deputati che non votarono l’ordine del giorno.

Oggi è comune che gli omosessuali affermino di non poter essere aiutati ad uscire dalla loro situazione; l’omosessualità, affermano, è innata; forse è geneticamente determinata, in ogni caso è così profondamente connaturata, tale da essere una condizione dalla quale non si può uscire. Concludono, quindi, che la chiesa e la società devono accettare l’omosessualità come una condizione naturale e normale; insistono, infatti, che le persone non possono essere condannate per quello di cui non sono responsabili.

A loro volta, gli omosessuali che vogliono essere considerati cristiani interpretano questa “ineluttabilità” della loro condizione in maniera teistica: “Dio mi ha fatto così”.  Possono mai i cristiani condannare qualcosa che Dio ha creato?

Questa domanda viene posta in molte altre discussioni diverse dalla questione dell’omosessualità.

I rapidi progressi della genetica hanno condotto a un acceso dibattito sulla se alcuni comportamenti possano essere considerati innati. Qualche anno fa veniva insegnato che un’alta percentuale di ragazzi col doppio cromosoma “y” assumeva dei comportamenti antisociali. Questa scoperta, allora, implica che la criminalità, in alcuni casi almeno, sia un’innata ed ineluttabile condizione? Che fare? Dovremmo abortire tutti i bambini che presentano questa combinazione genetica? Dovremmo esaminare tutti i neonati ed impegnarci a guidare tutti i bambini con i cromosomi “xyy” in un sentiero formativo differenziato? Dovremmo cercare di cambiare la mappatura genetica di questi bambini?

Successivamente si è avuta la scoperta che un certo gene è associato ad una relativamente alta percentuale di alcolisti, ed in tempi ancora più recenti, Simon LeVay, un neuroscienziato ed attivista gay, ha pubblicato un articolo in Science (253:1034-1037) affermando che esistono delle piccole, ma statisticamente significative differenze nelle dimensioni nella regione anteriore“INAH-3” dell’ipotalamo, una parte del cervello, fra uomini eterosessuali ed omosessuali. Alcuni hanno affermato che questa scoperta stabilisce quello che gli attivisti gay vanno affermando da lungo tempo, cioè che l’omosessualità piuttosto che essere una “scelta” è una condizione innata, quindi, non potendo essere risolta va accettata come normale.

Io non ho le competenze per valutare le ricerche di LeVay, credo che sia meglio sospendere ogni giudizio fin quando la sua opera non sarà corroborata da altri e più obiettivi scienziati su questo argomento. Tuttavia, dobbiamo notare, come altri hanno già fatto, che siamo in presenza dell’irrisolto problema del “viene prima l’uovo o la gallina: ”come possiamo conoscere che questa condizione (o forse le sue ancora inesplorate basi fisiche) sia la causa e non il risultato del pensiero e del comportamento omosessuale?

Dobbiamo, inoltre, ricordarci che queste scoperte sono state fatte attraverso lo studio del cervello appartenente a persone esclusivamente omosessuali messe a confronto con quello appartenente a persone esclusivamente eterosessuali. Ma fra questi due estremi esiste un vasto spettro di possibilità. Le persone esclusivamente omosessuali sembrano oscillare fra l’1% ed il 3% della popolazione (il largamente utilizzato risultato delle ricerche di Kinsey del 10% oggi è stato in gran parte abbandonato) (Non sono sicuro che questa presupposizione sia stata provata mediante sperimentazione).

Il numero di persone di orientamento bisessuale è molto maggiore, e molti ancora sono gli eterosessuali che potrebbero intraprendere delle relazioni omosessuali in particolari circostanze (la curiosità, la prigionia ecc.). Esiste una base genetica che giustifichi questi comportamenti più complicati ancora? Né LeVay, né nessun altro scienziato ha fornito dei dati che lo suggeriscano.

Ma assumiamo che esistano delle innate basi fisiche per l’omosessualità, così come per l’alcolismo e per la criminalità. Credo che con gli ulteriori sviluppi della genetica, fra qualche anno verranno scoperte sempre più correlazioni fra la genetica ed il comportamento. Quale conclusione etica ne dobbiamo trarre?

Per una cosa non potremo mai trarre la conclusione che gli attivisti gay vorrebbero fosse tratta, cioè che una condizione “innata” debba essere accettata come naturale e normale. L’innatismo non ha nulla a che fare con la normalità. Molte malattie sono, infatti, geneticamente determinate. Nessuno considera la malattia di Tay-Sachs o l’anemia drepanocitica come “normali”, come condizioni desiderabili o come portatrici di qualche virtù. Nessuno di noi considera l’alcolismo come o il comportamento antisociale dei soggetti con cromosomi “xyy” come naturali e normali. Anzi noi tutti li combattiamo, e le scoperte genetiche ci offrono ulteriori strumenti per questa lotta. Alcuni hanno suggerito che la scoperta di un “gene gay” offrirebbe la possibilità, attraverso l’aborto o la manipolazione genetica, di eliminare l’omosessualità (o gli impulsi verso di essa) dalla società. Ma questo è quello che gli attivisti gay non vogliono assolutamente sentire.

Inoltre, dobbiamo considerare queste scoperte in prospettiva. Non tutti coloro che hanno il gene “xyy” diventano criminali e neanche tutti coloro che presentano il rischio genetico per l’alcolismo diventano alcolisti. È improbabile, quindi, ammesso che il “gene gay” esista, che questo determini la condizione omosessuale di una persona. Sebbene lo studio dei gemelli mostri una correlazione fra la genetica e l’omosessualità, la metà di tutti i fratelli gemelli di persone omosessuali sono eterosessuali. Quindi i dati ci suggeriscono qualcosa di diverso rispetto al determinismo genetico, anzi, mostrano che per alcuni è possibile resistere a dei comportamenti che sembrano geneticamente determinati. I geni determinano il colore degli occhi, il sesso, il gruppo sanguigno, e così via; il comportamento, tuttavia, sebbene sia influenzato dalla mappatura genetica, non appare come determinato da essa. Per esempio, le tipiche differenze di comportamento fra maschi e femmine hanno delle basi genetiche, ma, come le femministe sono pronte ribadire, le basi genetiche non determinano in maniera assoluta come ci si deve comportare in ogni situazione. Le donne talvolta agiscono come uomini e viceversa.

Altre influenze sono spesso più determinanti dell’eredità genetica. Un anonimo editoriale apparso sul National Rewiew (9 Agosto 1993, pag. 17) evidenzia che “gli effetti di una violenza sessuale subita da bambini può restringere la libertà dell’individuo molto di più della preferenza psicologica verso il dolce; e molti altri impulsi puramente biologici impallidiscono davanti al bisogno che il fumatore ha delle sigarette”. Quindi, se scusiamo l’omosessualità su basi della predisposizione genetica, dovremmo, allo stesso modo, scusare tutte le azioni frutto dell’influenza esercitata dall’ambiente o di cattive scelte fatte nel passato.

In altri casi, non dobbiamo scusare le azioni compiute sulla base di una predisposizione genetica. Chi è geneticamente predisposto all’alcolismo non può scusare il suo alcolismo su questa base; ne l’uomo col gene “xyy” può scusare i suoi comportamenti scorretti. Queste condizioni non costringono nessuno a compiere della azioni contrarie ai propri desideri. In questo senso, non compromettono la loro libertà morale, costituiscono sì, delle sfide morali, degli appigli per la tentazione. Ma questo deve essere visto in prospettiva: noi tutti abbiamo del “punti deboli” morali, aree dove siamo particolarmente vulnerabili agli incitamenti del diavolo. Questi “punti deboli,” hanno molte fonti; l’ereditarietà è fra essi, altre potrebbero essere le influenze dell’ambiente o delle decisioni prese in passato. Quindi, mentre alcuni di noi hanno problemi con la tentazione all’abuso di alcol, altri, a causa del loro percorso formativo, dei gusti personali, della posizione sociale non sono molto incitati a questo stesso peccato. Queste persone avranno certamente altre aree di tentazione. Questo è vero anche per coloro che sono particolarmente maturi nella loro fede cristiana: questa maturità apre le porte alla tentazione dell’orgoglio spirituale. Così la persona che si trova ad affrontare delle sfide morali sulla base genetica non è un caso completamente solitario, tutti noi fronteggiamo difficoltà simili, esse non sono completamente sotto il nostro controllo. Per noi tutti questo mondo è un luogo spiritualmente pericoloso. Veramente il nostro “avversario, il diavolo, va attorno a guisa di leone ruggente cercando chi possa divorare” (1Pt.5:8). Ma grazie siano rese a Dio per la cui grazia possiamo resistergli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze si compiono nella nostra fratellanza sparsa per il mondo (versetto 9).

La base genetica dell’omosessualità eliminerebbe dunque l’elemento della scelta? Certamente no. Una persona con la propensione all’alcolismo fa una scelta ogni volta che decide di prendere un bicchiere. Lo stesso fa un uomo col gene “xyy” quando decide di dare un pugno sul naso di qualcuno. Se assumiamo la propensione genetica verso l’omosessualità, allora, come abbiamo detto, coloro che la presentano questa mappatura genetica, si troveranno fronteggiare delle tentazioni maggiori in quest’area rispetto ad altre. Ma coloro che soccombono alla tentazione, lo fanno perché lo decidono, così come facciamo tutti noi quando cediamo alle nostre assillanti tentazioni. Gli omosessuali scelgono certo di rimanere celibi, e scelgono di avere dei rapporti sessuali. Nel far questo non sono forzati dai loro geni o da qualcosa di contrario ai loro desideri.

È possibile che un omosessuale, per la grazia di Dio, si penta e diventi eterosessuale? I ministri cristiani impegnati con gli omosessuali affermano che è possibile e che è avvenuto, sebbene affermino anche che è un peccato difficile da trattare. (L’orientamento sessuale è qualcosa che è profondamente radicato nella personalità umana, e noi abbiamo l’istinto a mantenerla nascosta. Questo istinto è positivo, ma rende la consulenza in quest’area particolarmente difficoltosa.) Gli attivisti gay affermano che sia impossibile uscire dall’omosessualità, e mettono in questione le testimonianze degli “ex-gay”. È anche vero che persone che avevano dichiarato di essere state liberate dall’omosessualità, sono poi ritornate a relazioni di questo tipo. Molti ex-gay hanno candidamente dichiarato di continuare a provare dell’attrazione omosessuale, attrazione che ora percepiscono come un problema morale e spirituale. Gli attivisti gay affermano, invece, che questa permanente tentazione provi che l’omosessualità è impossibile da sradicare.

Io credo nel Dio che può liberare gli omosessuali. La Scrittura insegna, infatti, che la sua grazia può liberare il suo popolo da ogni peccato (si veda in particolare 1Cor. 6:9-11). Non ho fatto delle ricerche di prima mano sui risultati del counseling cristiano con gli omosessuali. Non mi sorprenderebbe lo scoprire che molte persone che, per la grazia di Dio, lottano per sconfiggere la loro omosessualità, sperimentino ancora tentazioni di questo genere. Persone che sono state alcolizzate spesso fronteggiano delle continue tentazioni a bere, anche molto tempo dopo aver smesso di bere smisuratamente. Simile è la situazione di chi ha vinto gli impulsi di un comportamento violento, l’uso di droghe, o la promiscuità eterosessuale. Se questo è vero anche per gli omosessuali pentiti, non getta il minimo dubbio nella potenza della grazia di Dio nel sanare queste persone. La tentazioni ricorrenti sono un problema per ciascuno di noi, così continuerà fin quando non saremo glorificati. Non si possono giudicare i risultati di un’opera di counseling cristiano con dei criteri perfezionistici, cioè in base all’assunzione che la liberazione dal peccato comporti la rimozione di ogni forma di tentazione al peccato in questa vita.

Il cuore della nostra discussione sta nel fatto che l’elemento genetico nel peccato non costituisce una scusante. Per comprendere questo è bene porre il problema in una più ampia prospettiva. Il cristianesimo ci spinge ad allargare la nostra visuale sempre di più, infatti, esso ci chiama a vedere ogni cosa dalla prospettiva del Dio trascendente e dal punto di vista dell’eternità. Questa prospettiva ci spinge a vedere le nostre prove come “leggere e momentanee” (2Cor.4:17) ed i nostri peccati molto più grandi di quello che vorremmo ammettere. Secondo la prospettiva biblica, la difficoltà sta nel fatto che tutto il peccato è ereditario. La nostra miseria ed il nostro peccato derivano da Adamo. Noi siamo colpevoli della colpa di Adamo, e da lui ereditiamo le nostre nature peccaminose. Se la predisposizione genetica scusa l’omosessualità, allora l’essere eredi di Adamo scusa ogni peccato! Ma le cose non stanno affatto così. Naturalmente, la teologia riformata vede la nostra relazione con Adamo come nostro rappresentante, piuttosto che come una relazione genetica, e questo è importante. Adamo, però, rappresenta tutti coloro che sono discesi da lui mediante “generazione naturale,” quindi c’è anche un’inevitabile elemento genetico nel peccato umano.

È chiaro? Considerate che Adamo aveva in sé tutte le nostre possibilità (anche genetiche!), e viveva in un ambiente perfetto salvo quell’unica fonte di tentazione. Nessuno di noi avrebbe potuto o voluto far meglio. E, nonostante l’individualismo americano insegni diversamente, la razza umana è una e Dio ha il diritto di giudicarla come una singola entità. La verità fondamentale è che siamo creature di Dio, ed è lui a stabilire ciò che è giusto, egli ha il diritto di fare ciò che vuole con l’opera delle sue mani.

In questa più ampia prospettiva l’argomentazione che un peccato debba essere considerato normale sulla base della componente genetica o a motivo di qualsiasi altra “inevitabilità” è puramente utilitaria.

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