LE STRAVAGANTI TESI DEL PASTORE ‘PENTECOSTALE’ (CHE PIACE A “RIFORMA”) SU BIBBIA E OMOSESSUALITÀ

Cita Platone, confessori e santi, ma non la Bibbia (infatti le identiche cose le aveva scritte nel 2004 il quotidiano La Repubblica)

Abbiamo già parlato di come Riforma abbia fatto passare l’incontro con un pastore di una frazione che rappresenta forse meno di un centesimo dei pentecostali italiani per “dialogo con le chiese pentecostali” (su questo una precisazione: l’articolo che sulla versione internet del settimanale si intitola “Fede e omosessualità nel dialogo con le chiese pentecostali” nella versione cartacea diventa più prudentemente “Fede e omosessualità nell’ottica del dialogo con le chiese pentecostali”…), mentre in realtà il dialogo con le chiese pentecostali (nella sua componente FCP, 45-50 mila membri) è in grave pericolo principalmente a causa delle benedizioni valdesi alle coppie dello stesso sesso.

Vale ora la pena di dare un’occhiata alle stravaganti tesi sostenute nel convegno del 12 novembre presso la chiesa metodista di Roma dal pastore Eliseo Tambone, tra i massimi dirigenti, e figlio del moderatore, di quelle che Riforma chiama le Assemblee di Dio – AD (da non confondersi con le Assemblee di Dio in Italia – ADI, che rappresentano un numero di aderenti almeno 50 volte superiore) ma che probabilmente oggi si fanno chiamare Chiesa Cristiana Evangelica Assemblee di Dio del Risveglio (ADR).

Nel suo primo intervento, Tambone ha sostenuto che “l’avversione al mondo omosessuale sia piuttosto recente. Ad esempio, Platone nel Simposio ne legava l’accettazione a una società veramente democratica”. Tanto per cominciare, Platone non era un sostenitore della democrazia, tant’è vero che suo zio era il capo dei Trenta Tiranni filo spartani e il suo “compagno di scuola” presso Socrate, Senofonte, sotto quella tirannia era il comandante della cavalleria, che vi svolgeva le stesse funzioni della Gestapo (vedremo in seguito che Tambone non ha responsabilità in questi svarioni). Infatti, la straordinaria avventura asiatica narrata nell’Anabasi, nasce dall’esigenza per Senofonte di andarsene da Atene, dove per lui tirava brutta aria da quando era tornata la democrazia. Ma, soprattutto, Platone nel dialogo Repubblica prospetta come società perfetta una sorta di dittatura di filosofi sostenuti dai soldati, ciò che Jean François Revel definì “una via di mezzo tra una caserma di disciplina e una casa di rieducazione per criminali”. Per dirla tutta, Platone nel Simposio la democrazia non la nomina neppure e neanche vi accenna, parla solo di leggi sbagliate per la prepotenza dei capi e per la viltà del popolo. Quanto all’omosessualità, però, il filosofo va ben oltre: nello stesso dialogo, tal Pausania spiega che vi è l’eros volgare (quello tra uomo e donna), tipico degli «uomini dappoco» e quello celeste: «quei che sono ispirati da siffatto amore, si rivolgono al maschio, invaghiti essi di chi naturalmente è più forte e di più valoroso intelletto» (usiamo qui la bellissima traduzione di Francesco Aracri). Auspica solo un limite decoroso all’età, ma non a tutela dei minori, bensì degli adulti: «Starebbe proprio molto bene una legge che non si dovesse amare fanciulli impuberi, acciocché non si sciupi il tempo e il cuore” poiché “non si sa dove si butteranno con l’anima e con il corpo, se al buono o al cattivo». Comunque, Tambone sembra sostenere che i giudizi negativi sull’omosessualità arrivino dopo Platone (428-348). Se avesse letto il Simposio anch’esso di Platone, avrebbe saputo che proprio alla sua epoca c’erano città che proibivano l’omosessualità. Un pastore dovrebbe comunque conoscere il Pentateuco, sicuramente assai più antico di Platone. La tradizione e Gesù stesso ritengono che l’abbia scritto Mosè (vissuto almeno 800 anni prima di Platone). I soliti teologi che ritengono di saperne più di Gesù vogliono che sia stato redatto dopo, ma non oltre il VI secolo avanti Cristo, sulla base di tradizioni molto più antiche. In ogni caso, almeno 150 anni prima del filosofo ateniese.

Tambone prosegue citando “un prontuario d’uso per i confessori del VII secolo” in cui si dava una penitenza di tre anni a un sacerdote che avesse cacciato di frodo, e solo di un anno per atti sessuali fra uomini, e di tre mesi fra donne. Nei prontuari per i confessori medievali si trova notoriamente di tutto e non si capisce cosa dimostri questa citazione, se non che il confessore era molto preoccupato di tutelare il feudatario, in quanto  “proprietario” della selvaggina. All’epoca, infatti, le limitazioni alla caccia non avevano certo motivazioni ecologiche e cacciare di frodo significava “frodare” il feudatario della “sua” roba.

La curiosa scorribanda prosegue citando Anselmo d’Aosta (XI secolo) con il quale “forse raggiungiamo il culmine, non avendo il filosofo-teologo alcuna remora a esporre esplicitamente , in una sua lettera a Gilberto, le sue passioni e i sentimenti inequivocabili verso di lui”. Anche oggi si sa di ecclesiastici cattolici che “non hanno alcuna remora” nei confronti anche di femmine o maschi, anche assai più giovani di Gilberto, ma ciò non dimostra che la loro chiesa approvi, e se anche fosse, non capiamo cosa significherebbe. Andrebbe poi aggiunto che la faccenda dell’omosessualità di Anselmo d’Aosta è tutt’altro che scontata, tranne per chi ritiene che il forte affetto non possa essere disgiunto dagli slanci sessuali, ed è basata sul suo linguaggio affettuoso, in particolare verso Gilberto, futuro abate di Westminster. Un autore tutt’altro che bacchettone o filo cattolico, ma grande conoscitore della cultura e della mentalità medievale come Umberto Eco ci spiega molto bene come in materia ci possano essere equivoci, quando nel Nome della Rosa, il giovane monaco Adso di Melk, ossessionato dal pensiero della ragazza con cui aveva avuto un fugace ma intenso rapporto sessuale, chiede al suo maestro Guglielmo se fosse mai stato innamorato. Guglielmo risponde “sì, molte volte… Orazio, Virgilio”…”. Era evidentemente un altro innamoramento.

Per il pastore Tambone, invece, “quindi, su questa tematica non possiamo dare giudizi definitivi, né partire da presupposti morali, religiosi o scritturali”, aggiungendo che “come ha scritto Paolo Ricca a proposito delle benedizioni delle coppie dello stesso sesso, questi sono argomenti né dentro né contro la Scrittura, ma semplicemente al di fuori di essa. Perciò vanno considerati per quello che sono, inerenti la persona e l’animo umano”. A meno che nel resoconto fatto da Riforma manchino parti decisive, la logica è davvero bislacca: un filosofo pagano era fautore dell’omosessualità, un oscuro confessore la puniva blandamente, un monaco teologo era innamorato di un suo collega, quindi la considerazione dell’omosessualità è al di fuori di presupposti morali o scritturali ? E, soprattutto, cosa significa che questi argomenti “sono inerenti la persona e l’animo umano” ? Qualunque comportamento umano dal più lodevole al più esecrabile è “inerente la persona e l’animo umano”.

Ecco ciò che davvero preoccupa in questo assalto al messaggio biblico: non certo la questione omosessuale, in sé secondaria. Nessuno può pensare di essere migliore di un altro perché non pratica l’omosessualità né disprezzare un altro perché la pratica. Pur se la si classifica tra i “peccati”, senza dubbio altri sono sicuramente più gravi e danneggiano terzi non consenzienti. Il problema è che per benedire le unioni omosessuali, da un lato bisogna fare carta straccia delle Scritture e dall’altro declassare qualunque comportamento, in quanto “inerente l’animo umano”. Una teoria che non regge neppure agli occhi di chi la sostiene, poiché c’è sicuramente un comportamento che ritengono esecrabile.

Insomma, per Eliseo Tambone, vale più un passo di Platone, il precetto di un confessore e lo slancio di un teologo cattolico di una serie di passi biblici?

In realtà, il problema sta forse nel fatto che Tambone si è affidato a un articolo di Umberto Galimberti, “GAY – Se l’amore è messo all’indice” uscito sulla prima pagina del Diario del quotidiano Repubblica del 30 ottobre 2004, e citatissimo nei siti gay. Guarda caso, anche lui cita impropriamente Platone (quasi con le stesse parole: “Platone lega l´accettazione dell´omosessualità alla democrazia“), il confessore del VII secolo (“Un manuale per i confessori del VII secolo assegnava un anno di penitenza ad atti impuri tra maschi, 160 giorni tra donne, e ben tre anni a un prete che fosse andato a caccia“; l’unica discrepanza è che i 160 giorni di Galimberti, diventano te mesi per Tambone!) e Anselmo d’Aosta. Purtroppo, a Galimberti non interessa, almeno in quell’articolo, parlare della Bibbia e infatti non ne parla. Dovrebbe interessare a un pastore, ma Tambone, almeno nel resoconto di Riforma, se ne dimentica!

Ci informa Riforma, che il pastore Tambone ha svolto anche un secondo intervento, in cui ha cercato di mediare, affermando che “tanto la decisione della chiesa valdese di ammettere la benedizione delle coppie omosessuali quanto la reazione di molte chiese pentecostali che hanno immediatamente interrotto la collaborazione e il dialogo con la chiesa valdese sono decisioni catastrofiche per la comunione fraterna. Certamente anche i rapporti della sua chiesa con quelle valdesi e metodiste non escono rafforzati e incoraggiati dalla risoluzione sinodale del 2010”. Tambone, insomma, cerca di dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte, in modo piuttosto discutibile: se è “catastrofica” la decisione del Sinodo, la reazione di quelle chiese pentecostali (cioè tutte tranne la sua) è ampiamente giustificata. Tuttavia, ammette che persino la sua chiesa, fuori da tutti e tre i principali raggruppamenti pentecostali, e per questo particolarmente interessata al dialogo con i valdesi per rompere l’isolamento, è in difficoltà davanti ai colpi di testa consumatisi a Torre Pellice.

In conclusione, sull’argomento il pastore Tambone non sembra cavarsela meglio dei suoi colleghi valdesi. Analoghe le contraddizioni, l’illogicità, gli svarioni storici. Apprendiamo che probabilmente legge lo stesso quotidiano. Ma il dialogo fra chiese dovrebbe essere sulla base della Bibbia, non sulla base di un quotidiano.

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