Il testo di Luca 9: 23-27 (cfr. Mt16: 24-28; Mc.8:34-38) credo che possa essere uno dei detti fondamentali di Gesù(cfr. Mt15:10-20) , su cui Paolo ha elaborato la sua teologia della salvezza per grazia mediante la fede, osando dire con Bonhoeffer a caro prezzo.
Il testo è incastonato tra la professione di fede di Pietro,l’annuncio della passione e la trasfigurazione.
Nel 1989 nelle sale cinematografiche fu proiettato il film L’Attimo Fuggente (in inglese il titolo è Dead Poets Society) , diretto dal regista Peter Weir. Il protagonista del film è Robin Williams nei panni del Prof. Keating, un brillante insegnante di Letteratura inglese nella blasonata Accademia Welton, una scuola elitaria e conformista ubicata sulle colline del Vermont, un piccolo stato degli USA, situato nella regione del New England. Il prof. Keating è rivoluzionario nella metodologia pedagogica. Sovverte il tradizionale insegnamento della poesia per trasmettere ai ragazzi il concetto di creatività e libertà nello studio di Keats, Withman o Shakespeare, finalizzato ad una personale fertile scelta di vita. “Essere se stessi “ è uno degli insegnamenti di Keating insieme a quello di cogliere l’attimo , in latino, l’oraziano “Carpe diem quam minimum credula postero”(cogli l’attimo, confidando il meno possibile nel domani) , significando cogliere in maniera repentina le occasioni favorevoli per la propria crescita umana. Molto suoi studenti seguirono le sue idee, perché esse erano rivoluzionarie all’interno di un sistema sociale chiuso in un vissuto convenzionale. Gesù, quando iniziò a predicare i suoi insegnamenti, la sua stessa predicazione, i suoi insegnamenti, le sue parole, la sua stessa personalità carismatica entusiasmarono le folle, per le sue innovazioni rivoluzionarie all’interno dello stagnante sistema religioso giudaico. Molti lo seguirono. Pensarono che fosse un profeta, il messia vittorioso che li avrebbe guidato alla liberazione dal giogo romano. Gesù respinge tale designazione. Anzi, afferma che sarebbe stato consegnato ai capi sacerdoti, che avrebbe sofferto e che sarebbe stato ucciso, e che il terzo giorno sarebbe risuscitato. Pietro, con la sua impulsività che lo contraddistingueva, si ribellò a queste affermazioni di Gesù, affermando che questo destino di sofferenza e di morte di Gesù non deve accadere. Gesù, dissociandosi dalle dichiarazioni di Pietro, il quale rifiuta il dolore e la sofferenza del Messia, pronuncia quella fondamentale frase che dà il senso dell’autentico discepolato, che Paolo in seguito spiega teologicamente con l’assioma dogmatico della salvezza per grazia mediante la fede. Gesù dà una chiara immagine di cosa significhi essere discepolo di Gesù. Egli dichiara solennemente: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Gesù dice con risolutezza e con tono imperativo che chi vuole essere suo discepolo deve compiere una triplice azione: rinnegare se stesso, prendere la propria croce e seguirlo. Per quale motivo Gesù pronuncia queste sconvolgenti parole che senz’altro producono imbarazzo e sgomento a chi l’ascolta?
Se esaminiamo la frase attentamente alla luce dell’insegnamento complessivo di Gesù, possiamo ragionevolmente affermare che rinnegare se stessi non significa che il discepolo deve rinunciare alla propria personalità, alla propria umanità per essere trasformato in un automa. Con questa fortissima espressione Gesù richiede al suo discepolo di rinunciare alla sua autonomia, che è quella di vivere in maniera indipendente da Dio, ad essere sovrano di se stesso, o meglio, ad essere il dio di se stesso. Rinnegare se stesso significa detronizzare il proprio “io” divinizzato e intronizzare Gesù come Dio. La tendenza umana naturale dell’uomo è l’egoismo. L’uomo pensa di essere un dio, vuole escludere Dio dalla sua vita, anche nel caso in cui egli professa una propria fede religiosa. Rinnegare se stessi nella sequela di Gesù significa paradossalmente acquisire la vera umanità: il discepolo di Gesù è veramente Uomo, un uomo libero, libero di amare, di donarsi all’altro, che partecipa alle sofferenze e alle gioie altrui, capace di gentili atti d’amore.
Proseguendo nell’analisi del logia (i “logia” sono dei detti di Gesù contenuti nei soli vangeli di Matteo e Luca), Gesù richiede al suo discepolo di caricarsi quotidianamente la sua croce. La croce di cui sta parlando Gesù adesso non è una croce nel senso fisico del termine: al discepolo non è richiesto di fabbricarsi una croce e caricarsela tutti i giorni, né le sofferenze che derivano da essa hanno valore espiatorio. Ma è una croce vera. Gesù vuole che il suo discepolo porti la sua croce. Di quale croce Gesù sta parlando? Significa morire al peccato, ossia alla pretesa di vendetta, ad esempio, quando il discepolo è offeso e a cui è stato arrecato un danno. La reazione dell’uomo naturale è cercare la vendetta. Nel portare la croce il discepolo è chiamato a morire al peccato della vendetta, a quello dell’adulterio, della sessualità disordinata, vissuta fuori dal matrimonio, a quello della frode, dell’inganno, dell’ira, della bugia, dell’idolatria, dell’odio, del cinismo, dell’invidia, dell’accidia. Se al discepolo Gesù richiede l’umiliazione della croce, la motivazione consiste nell’uccidere il peccato che è dentro l’uomo. Morire in croce significa essere liberato dalla propria concupiscenza. La croce che il discepolo patisce non è una croce punitiva, ma paradossalmente una croce che libera l’uomo dalla schiavitù della propria umanità decaduta. La croce è uno dei più importanti simboli cristiani. La croce è il segno della libertà dell’uomo che Dio ha determinato per il sacrificio di Gesù. Paolo dirà nella 1a lettera ai Corinzi che la parola della croce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano è potenza di Dio (1^ Cor. 1:18). Portare la croce significa, infine, che il discepolo deve essere consapevole che egli soffrirà per il semplice fatto di essere un cristiano. La parte finale del logia, ossia l’imperativo alla sequela, è l’affermazione chiave che dà senso e valore alla richiesta della rinuncia di se stessi e quella del portare la croce. Rinnegare se stessi, caricarsi tutti i giorni della croce acquista significato se il discepolo si incammina, andando dietro a Gesù, per le strade dell’esistenza terrena. La fede in Cristo non è statica, non è l’adesione intellettuale ai dogmi della fede cristiana. Certamente, la dottrina è rilevante, ma non è salvifica. Se il discepolo non segue quotidianamente Gesù, senz’altro non sperimenterà la parola della croce, che è sapienza e potenza di Dio. Non c’è rottura con il suo passato. Egli è uno dei tanti astanti che assistevano alla crocifissione di Gesù. La sua è una fede senza la croce. Gesù dice: “Se osservate i miei comandamenti voi siete veramente liberi, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”( Giov. 8:31-32). Nella lettera ai Galati Paolo enfatizza il concetto di libertà in Cristo: “Voi siete chiamati a libertà… Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se viviamo dello Spirito, camminiamo secondo lo Spirito…” (Gal.5:13,24). Tale verità conferisce dinamismo e vitalità a chi è nella sequela di Cristo, è il senso profondo della saggezza.
Nel film L’attimo fuggente uno dei protagonisti declama questo versetto del poeta e filosofo americano del XIX secolo Henry David Thoreau in una delle riunioni segrete nella grotta, in cui venivano recitati versetti di poeti famosi: “Io andai per i boschi, perché volevo vivere con saggezza e in profondità, succhiando tutto il midollo della vita per sbaragliare tutto ciò che non era vita e per non scoprire in punta di morte che non ero vissuto”.
Chi salverà la propria vita, dice Gesù, la perderà. E chi la perderà per amor mio, la salverà. Questo è il profondo senso della saggezza, il succhiare il midollo della vita. Sarà terribile per chi afferma di essere cristiano, ma non segue Cristo, l’accorgersi, alla fine della propria vita, di non avere vissuto.
“Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
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