di Paolo Brancè
“Io credo: risorgero!” (Giovanni 20:1-10; I Corinzi 15:1-34)
“Resurrecturis” è la scritta che il visitatore legge quando entra nel Cimitero Monumentale di Verona. È il participio futuro del verbo latino “resurgere”, da cui deriva la parola italiana “Resurrezione”. Il tema dell a resurrezione costituisce per i cristiani il fondamento della fede, è uno dei dogmi fondamentali della rivelazione biblica.
Fin dai primi anni dell’era cristiana, la morte è vista dai credenti con gl i occhi della fede come terminus a quo, ossia come punto di partenza dell a vita infuturata oltre il tempo dell’ esistenza mondana. È innegabile che la morte è lo spauracchio dell’uomo. Se, da una parte, per il sentire cristiano la morte è percepita come il passaggio dalla caduca vita terrena a quella eterna suggellata dalla risurrezione di Cristo, tuttavia è onesto ammettere che il pensiero della morte causa nell’uomo profonda inquietudine e disperazione e non vale nulla per lenire il turbamento causato dalla morte l’aforisma del filosofo Epicuro, secondo il quale la morte non sarebbe un’esperienza spaventevole per l’uomo perché, fino a quando l’uomo vive la morte non c’è, e quando la morte sopraggiunge l’uomo non è più.
Di fatto, la morte è tragicamente presente nella vita del l’uomo perché prevale in lui la paura del morire. Giustamente Lattanzio, un autore cristiano latino del terzo secolo d.C., fa notare che la morte in sé può non essere una infelicità, ma lo è l’avvicinamento alla morte: cioè essere consunti dall a malattia, subire una ferita, essere trafitti da un’arma, essere arsi dal fuoco, essere sbranati . Sono queste le fonti del timore, e non perché portano la morte, ma perché portano un gran dolore”(1). Né vale la pietosa consolazione che il Poeta Ugo Foscolo suggerisce con l’affermare che solo chi non lascerà eredità di affetti poca gioia ha dell’urna, consegnando soltanto alla memori a l’illusione della sopravvivenza dell’uomo alla terrificante realtà del morire. Per l’uomo, la morte è il male supremo che toglie il valore supremo della vita: l’uomo diventa un corpo freddo, privo dell’alito di vita che è il respiro: non può più pensare, né amare, né lavorare, né curare i suoi affari , né speculare, né giocare, né ridere, né piangere, né sposarsi , né generare figli , né godere del frutto della propria fatica. È tragico pensare che l’uomo è cibo per i vermi e concime per i fiori.
Ma, dalle strade della Galilea e della Giudea, il figlio di un oscuro falegname di Nazareth fa sentire ancora oggi la sua voce possente e rassicurante: “Io sono la Risurrezione e la Vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà”. Questo umile ebreo, morì di una morte ignominiosa appeso ad una croce, accusato ingiustamente di vilipendi o della religione e di sedizione armata, su una collina che sovrasta Gerusalemme, in seguito ad una predicazione etico-messianica che non solo rivoluzionò il sistema religioso esistente con i suoi riti esteriori e le sue leggi formali, ma anche modificò il sentire etico comune. Dopo alcuni giorni dalla sua morte avvenuta intorno agli anni trenta dell’era cristiana i suoi discepoli annunziarono coraggiosamente e con convinzione che egli era risuscitato dalla morte, riconoscendolo come Dio. L’evento storico della resurrezione di Gesù rivoluzionò senz’altro il modo dell’uomo di relazionarsi con la morte.
Che cosa accadde tra la sua morte tragica e l’annuncio agli apostoli della Resurrezione? Seguendo il testo di Giovanni, il quale dà alcuni dettagli rilevanti ai fini di una accurata riflessione sul mistero della tomba vuota. Nei primi versetti del cap. 20 è possibile rilevare interessanti tratti psicologici dei protagonisti. Innanzitutto, cogliamo lo stupore di Maria di Magdala alla vista del tutto inattesa del sepolcro aperto e la dolorosa meraviglia di constatare che la tomba era vuota. In Maria non c’è stata una reazione gioiosa quale sarebbe stata al pensiero della resurrezione di Cristo. Anzi, lei corre spaventata da Pietro e da Giovanni per metterli al corrente del fatto che la tomba era stata manomessa e il corpo di Gesù trafugato.
Qual è la reazione dei due discepoli? Li cogliamo in un momento di forte trepidazione e irrequietudine. Corrono affannosamente verso il sepolcro. Giovanni, giungendo per primo, sostò davanti all’ingresso, notando che le bende erano per terra, mentre Pietro, sopraggiungendo alcuni attimi dopo, entrò, vedendo anch’egli le bende e a parte il sudario piegato. Proseguendo nel racconto, il testo dice che entrò anche Giovanni e vide e credette.
Che cosa indusse Giovanni a credere e qual era l’oggetto della sua fede? Prima di rispondere è opportuno accennare alle usanze della sepoltura all’ epoca di Gesù. Con molta probabilità il corpo di Gesù fu avvolto con bende di lino, contenenti aromi. La testa fu avvolta da un pannolino, lasciando scoperta la faccia e il collo. Ciò che indusse Giovanni a credere fu il fatto di avere visto le bende e il sudario afflosciati: il corpo risorto di Gesù aveva attraversato le bende e il sudario senza scomporli: si sono aff losciati, venendo a mancare il corpo (vv.5-7). Giovanni aveva osservato questi importanti particolari, richiamando alla memoria ciò che Gesù aveva detto durante la sua vita terrena (v.29). Quello che colpisce i lettori degli Evangeli è che i discepoli non erano preparati all’evento che avrebbe cambiato il pensiero umano intorno alla morte. Essi sono presentati dagli evangeli come gente smarrita, disillusa, rassegnata e non vale la teoria secondo i discepoli avrebbero trafugato il corpo di Gesù e, in seguito, avrebbero annunciato la sua resurrezione. No, i discepoli erano affranti. I due che tornavano ad Emmaus erano addolorati(Lc24:16-24). Non si coglie nulla in loro che faccia pensare che avrebbero aspettato il Risorto. Era gente sconfitta. Ciò che li ha rianimati e ha infuso loro il coraggio sono state le autorivelazioni di Gesù. La storia della Resurrezione è la storia di eventi che richiamano la fede e si sottrae allo studio della critica storica, tesa a raccogliere i documenti, a verificarli, ad analizzarli e a classificarli e a renderli noti. Dio si sottrae alle analisi della critica storica e alla sua determinazione. Sono eventi storici, che appartengono alla autorivelazione di Dio ai credenti che sono stati in stretto contatto con Gesù. D’altra parte la resurrezione di Gesù è stata oggetto di disputa in una delle prime chiese cristiane fondate da Paolo, travagliata da dissensi interni e dal disordine etico-teologico.
La chiesa di Corinto è la chiesa più tristemente nota tra le chiese del Protocristianesimo. È una chiesa in gran parte formata da Cristiani di origine pagana, i quali portavano con sé la cultura greco-ellenistica. È probabile che un buon numero di corinti negassero la risurrezione corporale di Cristo sulle basi filosofiche gnosticizzanti, il cui pensiero affermava che l’anima immortale sopravvive alla caducità dell’esistenza terrena e che il corpo, essendo un elemento corruttibile, non partecipa all’immortalità dell’anima. È questo il terreno religioso su cui si snoda la forte critica di Paolo per ribadire la fede nella risurrezione corporale dell’uomo, di cui Cristo è il primogenito.
Quali sono le argomentazioni di Paolo a favore della Risurrezione dei corpi? Egli ribadisce che la morte di Cristo era necessaria per espiare i peccati dell’intera umanità, e che il corpo di Cristo fu realmente seppellito e che il primo giorno della settimana fu risuscitato(cfr. il greco egérgetai, che è un verbo passivo e indica l’azione del Padre nel risuscitare il Figlio). Paolo continua nella sua testimonianza che Gesù apparve a Cefa e poi ai dodici e a cinquecento discepoli. Nell’esperienza dell’autorivelazione del Risorto Paolo fu l’ultimo ad essere un testimone: “ultimo fra tutti apparve anche a me come all’aborto. Io infatti sono l’infimo degli apostoli e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio”.(1^ Cor. 15:7-9) Paolo è veramente convinto che Gesù era risorto e che questo evento è l’elemento fondante la fede cristiana. Infatti, egli è un testimone oculare come lo sono il resto della cerchia ristretta dei discepoli di Gesù, anche se egli non è annoverato tra coloro che hanno condiviso l’intima amicizia con il Gesù terreno. Paolo, per la fede nel Risorto, ha affrontato ogni sorta di traversie: egli, suppongo, con emozione afferma: “Perché noi ci esponiamo al pericolo continuamente? Ogni giorno io affronto la morte, come è vero che voi siete il vanto, fratelli, in Cristo Gesù nostro Signore. Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Efeso contro le belve, a cosa mi gioverebbe? Se i morti non risorgono , mangiamo e beviamo perché domani moriremo..”(I Cor. 15: 31-32; cfr. Is. 22:13) E ribadisce: “Ma Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (I Cor.15:20).
Non si può negare che le affermazioni di Paolo sono vitalizzanti per tutti quei credenti che stanno cedendo alla critica modernistica dei redivivi Celso e Porfirio, che negano la Resurrezione della carne e la sua veridicità storica. A questi novelli Celso e Porfirio noi chiediamo per quale insensata ragione uomini come Pietro, Paolo, Giacomo hanno versato il sangue per un evento che sarebbe stato un non-evento e per quale motivo Cristiani di oggi come Rita Stump e Anita Grunwald avrebbero offerto la loro vita per rendere testimonianza a quel Cristo che è stato proclamato il Signore Risorto dai morti, se Cristo non fosse stato risorto? No, non sono le deboli cattedrali di pensiero moderniste e disfattiste a mette in discussione il grande evento della Risurrezione di Gesù che richiede la fede. Il Cristiano segue il grande detto di Gesù: “Io sono la Risurrezione e la Vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque crede vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?”
(1) Lattanzio, Div.Inst. , III ,17, 32s., citato in Dizionario di spiritualità biblico-Patristica. Morte e risurrezione nei Padri n. 45-borla, ed. Rm, 2007, pag.54
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