Riceviamo e pubblichiamo questa lettera inviata al quotidiano dei vescovi italiani Avvenire, e ovviamente non pubblicata.
La festa della Riforma è stata una cerimonia ipocrita, un fidanzamento o forse addirittura un matrimonio di interessi, un tradimento dei veri valori del Protestantesimo – da tempo assorbiti dalla società laica civile – che consistono nel riconoscimento della autonomia dell’individuo e nell’abbattimento di ogni sudditanza nelle relazioni umane, secondo che è scritto: No ai Sacerdoti, No ai Re!
Luterani e cattolici si sono chiesti perdono reciprocamente per un peccato inventato e inesistente, creato ad hoc per vendere come riconciliazione un accordo commerciale, totalmente basato sugli interessi terreni – e non su interessi spirituali celesti, come si vuol far credere – che li renderà insieme più potenti come organizzazione umana impegnata a fare bassa politica e null’altro. Questo incredibile risultato si otterrà a scapito della figura di Lutero che sarà progressivamente ridotta a quella di un “estremista esaltato in buona fede”, colpevole nella sua foga rivoluzionaria del grave peccato della divisione e a danno della Riforma che, mentre si dice di volerla celebrare, in realtà viene indicata come un grave errore cui dopo 500 anni è doveroso porre rimedio.
La Chiesa di Roma e il Papa avranno buoni motivi per esultare perché, con la riunificazione fra le due parti in contesa, alla fine l’obiettivo – espresso dalla formula imperiale romana “in unum cogere” – dalla Chiesa sempre perseguito, di essere “cattolica” (= universale), non soltanto di nome ma anche di fatto, avrà fatto un decisivo passo avanti.
Il gallo, di evangelica memoria, che ha cantato numerose volte nel corso della storia per gli autonominatisi successori del “mai investito” Pietro, si prepara oggi a cantare ancora una volta per i grossi papaveri del Protestantesimo internazionale contemporaneo.
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Dunque la preghiera ecumenica congiunta che le due parti, la Chiesa Luterana e quella cattolica, hanno recitato assieme nella celebrazione della festa della Riforma, in cui in rito comune le due organizzazioni in contesa si dichiarano pentite del grave peccato della divisione, si mostra per quello che è, un atto sostanzialmente politico avente chiari scopi diversivi, una copertura architettata per parlare d’altro e giustificare al pubblico dei fedeli una volontà di unificazione di vertice che non ha assolutamente nessun carattere religioso
Parlare di peccato di divisione senza avere risolto il problema di fondo, ossia se le tesi di Lutero siano vere o false, è una mistificazione che conferma il legittimo sospetto che la unificazione cui le due parti aspirano abbia ragioni assolutamente estranee al problema religioso e nasconda oscuri piani che il futuro ci permetterà di scoprire negli sviluppi che avrà la grave insidia per l’umanità che si nasconde dietro questa ambigua azione associata alla celebrazione del 500.rio della Riforma. Il futuro possibile di questo pianeta poggia sulla costruzione di una società libera e laica, ove le esigenze religiose personali siano rispettate; mentre, per contro, ogni rafforzamento delle organizzazioni religiose istituzionali, rappresentando un gravissimo rischio per la società umana, come la storia ci ha dimostrato, deve essere sempre temuto, vigilando con particolare attenzione.
Il potere economico del nord Europa che – per difendere i propri interessi e liberarsi dal giogo del potere della Chiesa di Roma, 500 anni fa trovò conveniente sostenere Lutero nella sua contesa con il Cristianesimo-Cattolico e il Papato – oggi diventato più forte con l’inclusione del Nord America, che aspira a diventare il centro del potere mondiale, trova conveniente allearsi col vecchio nemico. E il tanto propagandato ecumenismo sembra potersi riassumere tutto in un semplice miserabile “mercimonio”. La questione religiosa, la libertà di pensiero e autonomia dell’individuo, la condanna del potere sacerdotale a chi aspira a gestire la finanza e l’economia mondiale interessano ben poco: Il famoso detto “Parigi val bene una messa” è sempre di attualità a chi è dedito al culto di Mammona.
Giovanni Scavazza
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