La “libertà” che vorrebbero difendere e promuovere oggi chi governa gli USA e diffondere nel mondo non è più quella intesa dai loro Padri Fondatori ma qualcosa di diverso che nasconde oppressione da parte dello Stato e dei gruppi dominanti. Uno Stato cristiano non è uno Stato che imponga il cristianesimo, ma uno che crei le condizioni per la libertà. Lo Stato cristiano è lo Stato minimo.
Di P. Andrew Sandlin, 23 settembre 2022
Il discorso di Gettysburg di Abraham Lincoln dichiara che gli Stati Uniti sono stati “concepiti nella libertà”, ma la libertà non è un tema chiave per molti americani in questi giorni. La sinistra e il loro principale veicolo istituzionale, il Partito Democratico, chiedono a gran voce “l’uguaglianza” e la sua recente variopinta mutazione: “equità”. Costoro sembrano preferire la parola “libertà” (freedom) alla libertà (liberty)[1], ma la libertà che immaginano non è la libertà come intesa storicamente dalla maggior parte degli americani, e certamente non dai Padri Fondatori degli Stati Uniti.
Libertà da
I Padri Fondatori degli USA intendevano la libertà come libertà da indebite interferenze politiche e di altre comunità. Libertà significava che sei libero di vivere la tua vita secondo i dettami della tua coscienza all’interno dell’ampia struttura dell’ordinamento morale, cioè dell’ordinamento stabilito da Dio – che comprende la legge biblica o la legge naturale.
Libertà significava che lo Stato non può determinare il tipo di vita che devi vivere, la religione da abbracciare, le aspirazioni da avere, se o come allevare una famiglia, cosa fare con la tua proprietà e così via. Libertà significava che mentre la famiglia e la chiesa sono di vitale importanza, esse (e non solo lo Stato) non possono costringere la tua coscienza, le tue scelte e il tuo tipo di vita. Non sei vincolato da una casta come in India e, in misura minore, in Inghilterra, a rimanere nella condizione in cui sei nato; sei libero di cambiare, di avanzare.
Questa è la libertà individuale, la libertà da organizzazioni che vorrebbero invadere e determinare la tua vita, specialmente l’unica coercitiva, lo Stato. Questo punto di vista può allora essere accuratamente descritto come libertà da.
Libertà di
La sinistra, d’altra parte, sin dalla Rivoluzione francese, ha sottolineato la libertà di[2]. Tutti gli esseri umani – secondo questa prospettiva – hanno diritto a un particolare tenore di vita, a essere trattati in un certo modo, a un rapporto particolare con i propri concittadini e uno degli obiettivi principali della politica sarebbe garantire tale status. Per dirla in altro modo: non si è veramente liberi se non si può godere di un particolare stile di vita. Non si deve solo essere liberi di perseguire la propria felicità, lo Stato “deve” garantirla, pretendendo che anche gli altri se ne facciano carico.
I conservatori sosterrebbero che si è liberi se si può godere la vita indisturbati da forze esterne coercitive, la principale delle quali è lo Stato, cioè la libertà dalla (maggior parte della) costrizione politica esterna.
Ma per la sinistra, la vita di libertà è fatta di uguaglianza, accettazione e approvazione da parte degli altri. Ciò significa che non si è veramente liberi se non si ha un certo standard di vita materiale di base, a meno che il proprio stile di vita non sia accettato e approvato dai miei concittadini e a meno che non sia immune alle regole non coercitive delle istituzioni sociali (“società civile”) come la famiglia e la chiesa (non si può discriminare perché si è “irresponsabili”, o gay, marxisti o transgender; se lo si fa, non si è più liberi).
Ciò che la sinistra considera libertà (liberty o freedom che sia), i Padri Fondatori degli USA e i conservatori (fino a poco tempo fa) la considerano oppressione: la coercizione da parte dello Stato.
Ciò che i conservatori considerano libertà (libertà dalla coercizione statalista), la sinistra la considera oppressione, poiché proprio quella libertà dall’oppressione statale consente significative disuguaglianze umane in termini di ricchezza, realizzazione, accettazione e approvazione. I conservatori vogliono l’uguaglianza dei processi; La sinistra vuole l’uguaglianza dei risultati. Concetti che sono diametralmente opposti.
I nuovi conservatori anti-libertà
Uno sviluppo inaspettato negli ultimi anni è stato l’abbandono da parte dei conservatori della priorità della libertà politica (la libertà da) – sì, proprio quelle stesse persone che la tenevano in vita sotto gli attacchi della sinistra moderna – e l’abbraccio della libertà di.
Questo messaggio anti-libertà (a volte più benignamente etichettato come “illiberale”) tende a manifestarsi in due forme.
Integralismo
Il primo è l’integralismo. Questo è l’illiberalismo di molti cattolici romani contrari alla libertà. Vorrebbero restaurare qualcosa dell’unità medievale tra chiesa e Stato. Non sarebbe però giusto criticarli per voler semplicemente riprodurre l’assetto chiesa-Stato del mondo medievale. Essi credono però che la separazione tra chiesa e Stato come sfere divise sotto l’autorità di Dio (il punto di vista dei Padri Fondatori degli Stati Uniti) abbia alla fine portato alla secolarizzazione odierna e per questo vorrebbero ripristinare una base cristiana per la società ristabilendo, se non un’ecclesiocrazia (il governo della chiesa nella società), almeno un ruolo più importante per la chiesa (la loro chiesa, ovviamente) nell’inquadrare la società politica unificata, in particolare la politica nazionale (il rodato principio conservatore dei diritti dei singoli Stati federati non rientra tra I loro principi).
Illiberalismo
Poi ci sono gli illiberali protestanti o non cristiani, a volte chiamati semplicemente post-liberali. Essi non vogliono ristabilire un’unione tra Chiesa e Stato. Piuttosto, vorrebbero che lo Stato assumesse un ruolo più attivo nel promuovere e in alcuni casi anche imporre una visione conservatrice o virtuosa (anche cristiana) nella società.
Come gli integralisti, credono che la società libera immaginata dai Padri Fondatori degli USA, a volte chiamata liberalismo classico (vedi “Due liberalismi, due antiliberalismi”), abbia concesso la libertà agli antinomisti e agli edonisti laici di dominare la società e minacciare quelle stesse libertà fondamentali. Quando concedi la libertà, a quanto pare alcune persone finiscono sempre con l’abusarne.
Pertanto, la risposta è usare “ogni mezzo necessario“, e in particolare il potere coercitivo dello Stato (“Perché i marxisti culturali dovrebbero essere gli unici a togliere la libertà alle persone?”) per opporsi a questa visione culturale antinomica e imporre una versione più virtuosa.
Ciò significa, ovviamente, limitare, almeno temporaneamente, la società libera, che secondo gli illiberali è fallita. Perché la diffusa libertà politica sia stata compatibile con un consenso virtuoso di base per 200 anni, ma ora improvvisamente ora non lo è più, non vogliono mai spiegarcelo.
Le differenze tra gli integralisti e i post-liberali non cattolici o non cristiani, e persino le differenze all’interno di ciascun gruppo, non negano ciò che entrambi hanno in comune: l’idea che lo Stato esista non semplicemente come una struttura per proteggere la libertà (la visione di ispirazione protestante dei Padri Fondatori degli USA), ma come veicolo per promuovere il “bene comune”, comunque sia definito.
L’accordo conservatori-sinistra
Su questo punto, gli integralisti e i post-liberali stanno dalla parte della sinistra. L’unico disaccordo è su come definire il “bene comune”. Per la sinistra, è “equità”, “giustizia sociale”, antirazzismo e risorse economiche condivise. Per gli illiberali, è la fede cristiana, la famiglia tradizionale e (a volte) una cultura nazionalista.
Entrambi, tuttavia, prevedono un ruolo più attivista da parte dello Stato. In effetti, potremmo dire che entrambi siano statalisti. Ciò che entrambi hanno volontariamente e intenzionalmente abbandonato è la libertà come caratteristica essenziale dell’aspetto politico della società.
La libertà per gli illiberali è semplicemente un vantaggio di secondo ordine di un particolare tipo di società. Si vorrebbe che lo Stato forgiasse un popolo che condivide una visione unitaria (un “bene comune”), e poi sarebbe compito dei politici di distribuire la libertà.
La libertà diventa così una conseguenza, non una causa, di uno scopo nazionale unificato. (Questo, tra l’altro, è proprio ciò che credevano Lenin, Mussolini, Hitler e Pol Pot.)
Per sempre fusionista
Questo l’illiberalismo sia della sinistra che dei conservatori si oppone alla filosofia fondatrice degli Stati Uniti e, cosa più importante, a quel generico cristianesimo protestante che l’ha plasmata.
Un noto conservatore del XX secolo incaricato di mostrare che virtù e libertà sono ugualmente importanti politicamente è Stato Frank S. Meyer[3], un collega di William F. Buckley[4] alla National Review[5], colui che coniò il termine politico “fusionismo” per descrivere quel punto di vista. La sua posizione era che una società libera, genericamente protestante[6] fonde assieme libertà e virtù, e mai l’una senza l’altra.
Meyer è Stato un instancabile sostenitore della libertà individuale contro il collettivismo nazionale. Credeva, come i Padri Fondatori degli USA, che tra gli uomini fossero istituiti governi per proteggere la vita, la libertà e la ricerca della felicità, e che non ci fosse altra giustificazione per il governo civile.
Meyer si opponeva al collettivismo sia di sinistra che di destra, secondo cui la libertà individuale è una conseguenza della “buona società”. Meyer spiegava che la libertà individuale è necessaria per creare una buona società e la libertà viene prima di tutto. Non esiste una buona società senza libertà individuale. O almeno così insegna il protestantesimo coerente, e così credevano i Padri Fondatori degli Stati Uniti.
I protestanti, a cominciare da Lutero, hanno risaltato l’inviolabilità della coscienza individuale davanti a Dio. Il liberalismo classico è un’applicazione politica della teologia protestante; e i suoi sostenitori dell’Illuminismo del XVIII secolo, anche se non formalmente cristiani, furono influenzati dai loro predecessori protestanti nel sottolineare l’individualismo politico, ma non certamente (ovviamente) l’autonomia individuale radicale di oggi, che li avrebbe inorriditi.
Questo non significa che tutte le società protestanti siano state liberali nel senso classico. Nessuno scambierebbe la Ginevra di Calvino per una società libera. Ma i principi teologici di base del protestantesimo tendono a produrre – e di fatto hanno prodotto – società libere, in tutto il Nord Europa e nel Nord America. E come il protestantesimo è andato via via scomparendo così è venuta meno la libertà politica.
La virtù richiede la libertà e la libertà richiede la virtù
Meyer non credeva che la libertà fosse fine a sé stessa, ma era convinto che senza di essa non potessero esserci fini virtuosi.
Io stesso la metterei così: il compito principale dell’uomo sulla terra, il mandato culturale (Genesi 1,28-30), presuppone la libertà politica. C’è bisogno infatti di molta libertà politica per obbedire a Genesi 1:28–30. Ma lo statalismo vieta le azioni più virtuose.
Meyer credeva che la giusta antropologia (visione dell’uomo) necessitasse di una filosofia politica, il liberalismo classico, in cui il ruolo dello Stato è quello di sopprimere certi atti esteriori malvagi, e non di inculcare la virtù. Nel linguaggio e nell’intento di Romani 13, il magistrato civile premia l’obbediente punendo i malfattori esternamente dannosi, e non forgia la società virtuosa, foss’anche cristiana.
Questo non è un compito dei politici. È una faccenda che riguarda altri.
Ma d’altra parte, sia gli integralisti che i post-liberali sono interessati a una virtù nazionalizzata, imposta con la forza. Finche è la tua concezione bene comune a essere imposta coercitivamente non c’è problema, va tutto bene, tutto è bello…
Ma come Robert Sirico, un cattolico romano conservatore e liberale classico aveva notoriamente ricordato al collega cattolico integralista Rusty Reno quando costui promosse l’azione statalista per imporre la virtù: “Guarda che tanto tu non farai parte di quei comitati”.
La libertà è il principale bene comune politico
I Padri Fondatori degli USA degli Stati Uniti, influenzati dal cristianesimo protestante, hanno riconosciuto che il bene comune assicurato dalla politica deve essere la libertà, mentre la coltivazione del bene comune come la fede e la virtù cristiana deve essere il ruolo di quella che oggi chiamiamo società civile, o istituzioni di mediazione come la famiglia e chiesa e, soprattutto, l’individuo virtuoso. Kim R. Holmes la mette così:
Come i Padri Fondatori degli USA, [i tradizionalisti conservatori] guardano alla coesione sociale e alla disciplina della religione e della moralità nella società civile per limitare i potenziali estremismi della libertà politica che sono sempre un rischio in una società libera. È vero che in America si è rotto l’equilibrio tra libertà e ordine. Ma la risposta avanzata dai conservatori tradizionalisti non è la restrizione delle libertà o dei diritti individuali da parte del governo, ma ricostruire le strutture e le istituzioni della società civile e della religione distrutte, che un tempo limitavano gli estremismi del liberalismo, ma che oggi sono invece in alcuni casi proprio i loro principali fattori scatenanti.[7]
Meyer, che non era cristiano all’epoca in cui scrisse il suo libro, ha comunque riconosciuto che il liberalismo classico della società libera è un lascito del cristianesimo. In altre parole, il fusionismo è una filosofia politica distintamente cristiana. Mentre una filosofia politica collettivista e illiberale, di sinistra o di destra che sia, non è affatto cristiana.
La società non diventa più cristiana perché i suoi politici impongono il cristianesimo. Quello imposto per legge non è affatto cristianesimo. I cristiani possono sostenere la società libera proprio perché credono nella potenza dello Spirito e non nella potenza dello Stato. Gli islamisti impongono i principi religiosi con il potere della spada, ma noi cristiani crediamo nel potere della Spada dello Spirito, che è la parola di Dio (Efesini 6:17). I cristiani non dovrebbero scimmiottare la filosofia politica islamica!
Per concludere
È comprensibile tuttavia che così tanti cristiani impegnati nella cristianizzazione della cultura si facciano sedurre dall’illiberalismo. Scorgono correttamente la depravazione della nostra società e capiscono giustamente che il cristianesimo è l’unica cura.
Ma non riescono a vedere che un cristianesimo imposto politicamente non è una cura, e non farebbe altro che aggravare la malattia. Lo statalismo, e magari – o soprattutto – uno statalismo motivato dal desiderio di infondere la virtù, è tanto deleterio quanto la malattia. Lo statalismo non è altro che un’altra forma di depravazione.
I nuovi post-liberali conservatori hanno ben ragione a preoccuparsi di tutte le vittorie culturali di sinistra – dal “matrimonio” omosessuale al transgenderismo, dalla cancel culture alla nomenclatura della supremazia bianca – e sono in preda al panico di fronte alla perdita di quelle conquiste duramente raggiunte dalla libera società protestante. Ma per imporre la propria visione culturale cercano di riconquistare il potere politico come un pescatore dilettante cerca di prendere un pesce in uno stagno.
Ma questa è la prassi degli stolti e degli indolenti. La sinistra ha raggiunto l’egemonia perché i cristiani e gli altri conservatori hanno rinunciato da tempo a partecipare alla lunga e logorante lotta culturale. Abbiamo perso la nostra cultura negli ultimi cento anni e non la riacquisteremo nei prossimi dieci. Quel che dobbiamo fare è lavorare gradualmente per riconquistare le istituzioni e, dove ciò non sarà possibile, per creare istituzioni alternative. E, se ci riusciremo, promuoveremo finalmente una politica radicalmente decentralizzata. Quando si conquista la cultura, si tende poi a coinvolgere in buona parte anche la politica.
Ma puoi giungere alle leve di comando della politica ad ogni elezione e smarrire allo stesso tempo la cultura. Infatti, questo è esattamente ciò che sta accadendo, in parte, ai conservatori negli ultimi 40 anni: vittorie politiche che coincidono con sconfitte culturali. L’ora di storia sulle drag queen non è stata imposta da Barack Obama o abolita da Donald Trump. Le battaglie culturali vanno vinte sui campi di battaglia culturali.
Che cosa significa veramente uno Stato cristiano
Come cristiani, siamo chiamati a portare ogni ambito della vita e del pensiero sotto l’autorità di Gesù Cristo nella sua Parola. In politica, ciò significa uno Stato estremamente ridotto, e vincolato ai suoi limiti biblici. Tutto ciò, in un certo senso, è “libertarismo cristiano”, anche se ben lontano da quello concepito da Ayn Rand[8].
Uno Stato cristiano non è uno Stato che impone il cristianesimo, ma crea le condizioni per la libertà tutti, cristiani e non, di vivere secondo la loro coscienza sotto la provvidenza di Dio. Lo Stato cristiano è di fatto uno stato minimo.
La posta in gioco cristiana nel caos della politica odierna, è pertanto di espellere lo Stato dall’affare del “bene comune” o, piuttosto, riconoscere che la libertà è il principale bene comune cristiano che lo Stato deve garantire. Non è l’unico bene comune, ma nessuno degli altri (come la giustizia) può esistere senza di esso.
Allora gli individui e le famiglie e le chiese e il resto della società civile non politica saranno liberi di diffondere il cristianesimo nella società (non di imporlo in politica) e di portare gradualmente tutte le cose sotto l’autorità di Cristo Re, che è il Re della virtù e della libertà, perché dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà (2 Corinzi 3,17).
Quindi, anche se molti cristiani sinceri vanno annoverati tra gli illiberali, lo stesso illiberalismo non è coerentemente cristiano. Per questi motivi (e altri) io e il mio collega Brian G. Mattson siamo orgogliosi membri (insieme al grande pensatore e politico olandese Abraham Kuyper) di ciò che Brian chiama Team Liberty .
Vi esorto quindi a resistere al canto delle sirene del seducente statalismo alla radice del programma illiberale, che sia di sinistra o di destra.
Note
- [1] In inglese vi sono due parole per denotare la libertà: freedom and liberty. La differenza principale tra le due è che liberty denota lo stato di essere liberi da restrizioni oppressive o dal controllo imposto dall’autorità sul proprio stile di vita, comportamento o opinioni politiche, mentre la freedom è la facoltà o il diritto di agire, parlare o pensare come si vuole. Corrispondono sostenzialmente alle nozioni di libertà negativa e positiva. (Si veda la nota successiva)
- [2] Isaiah Berlin, Due Concetti di Libertà, Milano: Feltrinelli, 2000. Isaiah Berlin (1909-1997) è stato professore di Teoria sociale e politica all’Università di Oxford, fondatore e rettore del Wolfson College e presidente della British Academy. In tale libro egli distingue due tipi di libertà, che chiamò libertà negativa e libertà positiva. La libertà negativa è la libertà dalle interferenze, la libertà dal controllo da parte degli altri, mentre la libertà positiva è la libertà di controllarsi.
- [3] Frank Straus Meyer (1909–1972) è stato un filosofo e politologo conservatore statunitense, meglio conosciuto per avere elaborato una teoria originale denominata fusionismo, filosofia politica che unisce elementi libertari, tradizionalisti e conservatori.
- [4] William Frank Buckley Junior (1925 – 2008) è stato un saggista, giornalista e conduttore televisivo statunitense, fondatore insieme a a Meyer del National Review.
- [5] Il National Review è una rivista quindicinale di orientamento conservatrice statunitense che si concentra su notizie e articoli di commento su affari politici, sociali e culturali.
- [6] Ci fu un solo cattolico romano, Charles Carroll, tra i firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza Americana.
- [7] Kim R. Holmes, “The Fallacies of the Common Good”, The New Criterion, Vol. 40, No. 5 [Gennaio 2022], 17, enfasi aggiunta.
- [8] Ayn Rand O’Connor (1905–1982) è stata una scrittrice, filosofa e sceneggiatrice statunitense di origine russa, massima esponente del libertarismo americano, fondatrice della corrente filosofica dell’oggettivismo. Le sue opere più note sono Noi vivi, La fonte meravigliosa e La rivolta di Atlante, portate anche sul grande schermo.
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