IL PASTORE MANNA: “ABBIATE IL CORAGGIO DI PUBBLICARE L’INTERO SERMONE”

Eccolo!

Il pastore Sergio Manna ha inserito questo commento all’articolo precedente:

“Abbiate il coraggio di pubblicare l’intero sermone anziché pubblicare soltanto quello che vi torna comodo con l’intento di manipolare e diffamare. Chi ha ascoltato o letto il sermone per intero non ha avuto dubbi su come interpretarlo. Con questo vi lascio alle vostre calunnie. Sono in partenza per l’America e non ho tempo da perdere!

P.S.: Vi consiglio di correggere il vostro messaggio precedente, nel quale vi è scappato un lapsus (freudiano?) dal quale si evincerebbe che siate per la menzogna. Chissà, magari è stato l’inconscio a parlare.”

Il coraggio, grazie a Dio, non ci manca. E comunque, anche senza bisogno di farvi ricorso, pubblichiamo subito il testo per intero.

Non l’avevamo fatto prima solo per rispetto della proprietà intellettuale, ma abbiamo fin da subito messo il link. I nostri lettori, sia quelli critici sia quelli benevoli, non sono né pigri né stupidi per cui, se si fosse trattato di diffamazione, l’avrebbero subito capito. Tuttavia Lei ci stima troppo! Non siamo così bravi da riuscire a “manipolare” in modo diffamatorio un testo, di ben 17 righe, senza modificare neppure una vigola, solo perché non riportiamo anche quelle che precedono e quelle che seguono. Qui sotto c’è l’intero testo, nel quale ci siamo solo permessi di evidenziare qualche parola con il grassetto e ci è difficile capire in che modo l’intero testo modifica il senso di quelle 17 righe.  Già in passato un pastore ci aveva accusato di “disonestà” per aver intitolato una sua lettera con un preciso e neutrale sunto delle sue parole. Sembra insomma che più di un pastore, assai disinvolto nell’interpretare la Parola di Dio che  dovrebbe annunciare, al punto di accettare, o magari approvare, che si celebri liturgicamente ciò che essa più volte proibisce, o la Confessione di Fede che ha solennemente sottoscritto,  sia invece più che intransigente con chi si permette di trarre dalle sue parole le più letterali e ovvie delle conseguenze. In questo quadro accogliamo le gentili parole: “manipolare”, “diffamare”, “calunnie”. Molto fraterne, molto pastorali! Specie se riferite alla citazione letterale e ampia di un suo sermone.

Noi auguriamo un buon e proficuo viaggio in America al pastore Manna e ci dispiace di fargli “perdere tempo”. Quando però tornerà o, se si ferma a lungo oltre oceano, avrà un momento di tempo, speriamo ci spieghi – gliel’avevamo già chiesto – in che modo le sue parole non sarebbero da interpretare nel modo che abbiamo fatto e cioè di totale condanna di un partito e fortissimo sostegno a un altro, ma non come valutazione personale e/o politica, bensì in base a Cristo e al Vangelo. 

Grazie infine per la correzione che ci suggerisce. Succede di sbagliare.

Ed ecco il testo completo del sermone, come pubblicato dal pastore stesso su Facebook. Abbiamo solo evidenziato alcuni passaggi in grassetto, ma invitiamo i lettori a leggere tutto quanto. 

  Sermone su Giovanni 6:47-51 predicato nella Chiesa valdese di Pomaretto domenica 10 marzo 2013

 da Sergio Manna (Note) il Domenica 10 marzo 2013 alle ore 11.30

Giovanni 6:47-51

47 In verità, in verità vi dico: chi crede in me ha vita eterna. 48 Io sono il pane della vita. 49 I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. 50 Questo è il pane che discende dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. 51 Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò per la vita del mondo è la mia carne».

Care sorelle e cari fratelli, 

questo breve brano del Vangelo di Giovanni che ci viene proposto oggi dal Lezionario, fa parte di un discorso di Gesù rivolto alla folla che si raduna intorno a lui e, in particolare,  a quelli che hanno assistito alla moltiplicazione dei pani e dei pesci e che lo seguono per questo: perché hanno mangiato e ne sono stati saziati.

Ecco perché qui Gesù riprende l’immagine del pane applicandola a se stesso e dicendo: “Io sono il pane della vita” (v.48).

Gesù intende stimolare coloro che si accontentano di una dimensione materialistica e superficiale dell’esistenza, intesa come mera soddisfazione dei bisogni primari; coloro il cui motto potrebbe essere: “Mangiamo e beviamo perché domani morremo”.

Questa è forse sempre stata la tentazione più grande dell’essere umano, dai tempi antichi fino a oggi: limitarsi ad esistere soddisfacendo i propri bisogni, senza porsi domande, senza interrogarsi sul senso e sullo scopo della propria vita, senza curarsi di Dio e del prossimo.

Già una volta, Gesù aveva domandato ai suoi interlocutori: “Non è la vita più del nutrimento e il corpo più del vestito?” (Matteo 6:25).

E in un’altra situazione, proprio in presenza del grande tentatore, aveva detto: “Non di pane soltanto vivrà l’uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio” (Matteo 4:4).

E’ in questo senso, dunque, che va inteso questo suo discorso sul “pane della vita” che Giovanni ci riporta nel suo Vangelo.

In buona sostanza la domanda che sta alla base di questo brano della Scrittura è:

di che cosa ci nutriamo? Da dove attingiamo ciò che dona forma e sostanza alla nostra vita? Cosa immettiamo dentro di noi, non solo nel nostro stomaco, ma anche nelle nostre menti e nei nostri cuori?

Non è una questione da poco, non è una domanda da sottovalutare.

C’è cibo e cibo; c’è un nutrimento che fa crescere, in maniera armoniosa e salutare, e ce n’è uno che rende obesi e malati; c’è un cibo che dona la vita e uno che porta alla morte.

Mentre riflettevo su tutto questo mi è venuto in mente un film documentario girato nel 2004 in America e che aveva per titolo “Super size me” (titolo non tradotto in italiano).

Di cosa trattava?

La pellicola seguiva un esperimento portato avanti dal regista, Morgan Spurlock, che per un mese  ha mangiato solamente cibo della nota catena mondiale di fast food McDonald’s, tre volte al giorno (colazione, pranzo e cena), interrompendo contemporaneamente ogni attività fisica  e documentando tutti i cambiamenti fisici e psicologici avvenuti;  il tutto davanti ad una telecamera 24 ore al giorno.

La cavia, Morgan Spurlock, aveva 33 anni, era in salute e in perfetta forma fisica, a detta del fisiologo che lo aveva visitato. Prima dell’esperimento misurava 1 metro e 88 centimetri di altezza e pesava 84 kg. Tre dottori lo avrebbero tenuto sotto controllo per tutta la durata della prova, registrando tutti i cambiamenti e gli effetti occorsi nel mese dell’esperimento. Tutti e tre avevano dichiarato a Spurlock che era perfettamente nella media come stato fisico, che avrebbe riscontrato effetti negativi sul suo corpo facendo questo esperimento, ma nessuno dei tre si sarebbe aspettato niente di così drastico (uno dei tre aveva anche detto che «il corpo umano si adatta molto facilmente»).

Ebbene dopo soli cinque giorni Spurlock aveva già preso 5 kg.

Pochi giorni dopo si trova già in un inspiegabile stato di depressione e, ancora più inspiegabilmente, la sua depressione, la letargia e i mal di testa di cui aveva iniziato a soffrire, venivano attenuati soltanto da un altro pasto McDonald’s.

Secondo uno dei tre dottori che lo seguivano, Spurlock era diventato “dipendente” da quel tipo di cibo.

Ben presto avrebbe guadagnato altri 5 kg, portando il suo peso a 92 kg e cominciando a manifestare una profonda stanchezza che gli rendeva difficile persino salire le scale all’interno della sua abitazione.

Attorno al ventesimo giorno, Spurlock soffriva addirittura di tachicardia.

Un consulto con uno dei tre medici, il dottor Daryl Isaacs, rivelava che, secondo le parole testuali del dottore, «il fegato di Spurlock si sta trasformando in paté»; ragion per cui gli si chiedeva di interrompere quello che stava facendo per evitare seri problemi cardiaci.

Per la fine del mese, il suo peso era ormai di 95kg, un incremento di quasi 11 kg, che avrebbe richiesto sei mesi e molta fatica per essere smaltito.

In buona sostanza il film documentario dimostrava, in maniera scioccante, con quanta poca attenzione e quanta poca cura, una civiltà “avanzata” come la nostra, risponde alla domanda:  di che cosa ci nutriamo?

In America, i critici di questo tipo di alimentazione lo chiamano junk food, cioè cibo spazzatura, come a dire che chi si nutre in questo modo è come se mangiasse immondizia.

Ebbene, se questo è vero per il cibo del corpo, qual è la situazione per il cibo dello spirito, per il cibo della mente?

Insomma, cosa immettiamo dentro di noi; di cosa ci nutriamo sul piano culturale, spirituale, morale, etico e politico?

Stavolta non dobbiamo guardare lontano; possiamo guardare a noi stessi, alla situazione della nostra nazione.

Se consideriamo l’esito delle ultime elezioni, io credo che non possiamo non renderci conto del fatto che anche su questo piano siamo messi male; che il nostro è un Paese che ha fatto indigestione di junk food,  di cibo spazzatura; che ancora una volta la gente ha accettato di nutrirsi di menzogne, di continuare a bersi le bugie e le false promesse di chi per troppi anni ha avvelenato la nazione.

Non può spiegarsi altrimenti quello che è accaduto.

Perché vedete, se un partito guidato da un magistrato che è stato in prima linea nella lotta contro la mafia, e che ha cercato di svelare gli intrecci tra mafia e politica, rimane fuori dal parlamento e in quel medesimo parlamento ci entra invece ampiamente il partito capitanato da un pregiudicato che trova sempre qualche buona scusa per sottrarsi ai numerosi processi che lo riguardano, allora vuol dire che il nostro Paese si nutre veramente di spazzatura; che preferisce l’illegalità alla legalità, la menzogna alla verità, la disonestà all’onestà.

Perciò la domanda che ci pone il Vangelo rimane quanto mai attuale:

Di cosa intendiamo nutrire la nostra mente, il nostro cuore, il nostro spirito?

Dalla risposta a questa domanda dipende la nostra vita; dalla risposta a questa questione dipendono le nostre scelte: anche quelle etiche e politiche che riguardano l’intero Paese.

Quando Gesù ci dice “Io sono il pane della vita” ci rivolge un invito a nutrirci di lui, della sua Parola, del suo modo di guardare alla vita; al rapporto con Dio, ma anche a quello con il prossimo.

Perché vedete, non ci si può nutrire di Cristo e amare la menzogna; non ci si può nutrire del Vangelo e amare l’illegalità; non ci si può accostare al “pane della vita” e vivere una vita sotto il segno dell’egoismo, dell’indifferenza, della furbizia, dell’arroganza, del sopruso, dell’intolleranza, del razzismo e di tutti gli altri mali che stanno avvelenando questa nazione.

Chi si nutre quotidianamente del “pane della vita” non può godere della morte o della fame del prossimo, non può chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie, non può tacere.

Chi si nutre del “pane della vita” che è Gesù Cristo non può non sapere cosa sia la  condivisione e quanto sia importante essere dei buoni cittadini oltre che buoni discepoli.

Perciò leggere queste parole di Gesù come un mero riferimento sacramentale alla Santa Cena è troppo poco anche se la Cena del Signore, rettamente intesa, è e resta, invece, un simbolo potente di tutto questo.

Il ritornello di una bella canzone di Giorgio Gaber del 1972 diceva:

“Un’idea, un concetto, un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione”.

Ecco, io credo che, in un certo senso,  Gesù, nel parlare di se stesso come del  “pane della vita” e nell’istituire la “Cena del Signore” sia riuscito proprio a fare quello a cui si riferisce Gaber nella sua canzone.

Che cosa è, infatti, la Santa Cena, se non un mangiare questa idea rivoluzionaria che ci dice che, in Gesù Cristo[1], un altro mondo è possibile; che è possibile essere trasformati (e trasformare) nella misura in cui Cristo e il suo Vangelo diventano veramente il nostro pane quotidiano; quello di cui ci nutriamo e partire dal quale costruiamo le nostre esistenze, le nostre scelte individuali e comunitarie?

Sorelle e fratelli, in questo tempo di crisi nel quale viviamo dobbiamo essere particolarmente attenti a ciò di cui nutriamo la nostra mente, il nostro cuore e il nostro spirito; e ancor di più dobbiamo vegliare su ciò di cui nutriamo o lasciamo nutrire i nostri figli.

Il mio augurio per ciascuno di noi, per le nostre famiglie, per la nostra comunità, per la nostra chiesa e per questa nostra nazione, è che buttiamo via il junk food, il cibo spazzatura al quale ci siamo assuefatti, per tornare davvero a nutrirci quotidianamente del “pane della vita”, di Cristo e del suo Vangelo.

AMEN

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[1] Cfr. V.51“il pane che io darò per la vita del mondo è la mia carne”. A coloro che vivono secondo il motto egoistico “mors tua vita mea” (la tua morte è la mia vita) Gesù replica con l’altruistico “mors mea vita tua”(la mia morte è la tua vita).

1 commento

  1. Che altro dire? Il sermone lo avevo già letto per intero sul profilo Facebook del pastore Sergio Manna.

    La mia prima predicazione, avevo 17 anni, fu nella cappella delle suore vicino al mio liceo. Facevo parte dei più giovani allora della Comunità di Sant’Egidio, il CSP, del Manara, e noi più grandi facevamo a turno a guidare la preghiera del mattino sul Vangelo. Ricordo ancora il testo, Matteo 5,13-16.
    Già allora ero innamorato del Vangelo. Con quel breve piccolo servizio imparai ad amare la predicazione. Il mio principale maestro fu… il Vangelo stesso. Ne ho sempre una copia dietro da allora. Ora ho una piccola Bibbia che mi segue.
    Ho continuato ad ascoltare le predicazioni poi dei preti di Sant’Egidio, don Paglia, don Spreafico, del Biblico.
    L’arte dell’omiletica vera e propria me l’hanno insegnata poi i gesuiti della Gregoriana, il mio direttore di allora, Padre Alszeghy. Ho imparato a predicare confrontandomi con Ignazio, con Agostino, con i Padri della Chiesa, con Francesco di Assisi, con Lutero (ebbene si, me lo consigliarono i Gesuiti, proprio per il suo amore per la Croce e la sua fede nel potere della Parola!).
    Da prete prima e da predicatore locale poi la mia luce guida per predicare la Parola è sempre stata il lasciare che la Parola parlasse per conto mio. In Seminario Maggiore, dove ho avuto un altro ottimo insegnante di predicazione in don Luigi Conti, ho approfondito la pratica monastica della lectio divina, che poi ho insegnato lì ed in diverse parrocchie della periferia romana. Nella Chiesa Valdese ho ascoltato spessissimo Maria Bonafede, che poi mi ha introdotto nel servizio di predicatore e Paolo Ricca.

    Con tali maestri, continuo a credere che la Parola deve parlare per conto nostro. La Parola, con la P maiuscola. Le nostre parole devono ammutolirsi di fronte ad essa.

    Il pastore Manna mi ha scritto che quello che lui ha fatto si chiama attualizzazione. Fido nella sua buona fede, ma non lo capisco. La Parola di Dio a mio modo di vedere è attuale di per sè, Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre, ed è Cristo che chi ascolta un sermone o l’omelia ha il diritto di sentire. Non c’è bisogno di tutti quei riferimenti all’attualità spicciola, la gente che ci ascolta i collegamenti li sa fare,li deve fare, ma deve farlo, a mio modo di vedere, confrontandosi con il Cristo, non con il pensiero del pastore o del predicatore di turno.

    Auguro un proficuo ministero al pastore Sergio e a tutti coloro che sono chiamati al ministero della predicazione.

    MATTEO 5,13-16
    13 «Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini. 14 Voi siete la luce del mondo. Una città posta sopra un monte non può essere nascosta, 15 e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa. 16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli.

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