Il pastore Esposito esprime la sua “profonda distanza” rispetto all’apostolo Paolo

Ancora una volta il pastore Alessandro Esposito merita il nostro apprezzamento per la sua schiettezza. Il 2 febbraio, nel suo blog su MicroMega (gruppo Repubblica/l’Espresso) ha pubblicato un articolo il cui titolo a prima vista poteva parere positivo e evangelicamente corretto: “Paolo di Tarso o dell’intransigenza della fede”. Ma la sostanza viene fuori quasi subito quando dice: “La mia distanza personale dall’elaborazione teologica dell’apostolo Paolo è profonda”. Quanti grandi del cristianesimo, come Agostino, Lutero, Calvino, tanto per fare qualche piccolo esempio, hanno lungamente studiato le pagine dell’apostolo cercando di capirne a fondo il significato! Ricordiamo l’attaccamento di Lutero all’epistola ai Galati. Ma il pastore valdese Esposito invece afferma la sua distanza da Paolo. Ne delinea gli aspetti psicologici che gli impediscono un approccio equilibrato, sospetta che “pur avendo abbandonato il giudaismo ortodosso più intransigente, ne ha mantenuto per molti versi la logica”, afferma che l’apostolo “non ha fatto onestamente i conti con il proprio passato”, e che in generale è roba da fondamentalisti pensare che “la conversione consente di chiudere i conti con il proprio passato”. Pertanto, “[n]uovo è il contenuto del suo annuncio, vecchi risultano i toni e le modalità”.

E chiude affermando: “in definitiva, sono persuaso del fatto che il Paolo «trasformato» continui, per certi aspetti, ad essere estremamente simile al Paolo rigoroso e zelante nell’interpretazione legalistica del giudaismo.

Tutti ragionamenti interessanti e forse anche acuti. C’è solo un piccolo problema: secondo la confessione di fede che tutti i pastori valdesi sottoscrivono solennemente il giorno della consacrazione, i libri scritti da questo bistrattato Paolo – come l’intera Bibbia – sono “divini e canonici”, “regola della nostra fede e vita”, in essi è riconoscibile “eterna e indubitabile verità della dottrina”, dalla “eccellenza, sublimità e maestà… che vi si dimostra” e ben altro si dice.

Ma il pastore Esposito non è certo l’unico tra i suoi colleghi a ritenere quel libro un libro come qualunque altro, e se stessi il metro e il giudice di quel libro, titolari del diritto di giudicarlo, usarlo, disprezzarlo, contraddirlo. Ma è l’unico a dire coerentemente e esplicitamente perché. Perché – secondo lui – non è divinamente ispirato (anche perché Dio, al di là dei giri di parole, è come se non esistesse), anzi è “un ostacolo”, Gesù era un brav’uomo e nulla più, o ingenuo o non tanto onesto con i suoi interlocutori, come abbiamo scritto, più di un anno fa. E da allora nessun pastore ha sentito il bisogno di precisare che tutto ciò è pensiero personale di Alessandro Esposito e non dottrina condivisa all’interno della chiesa.

Dunque, quel titolo che ci piaceva sulla intransigenza della fede di Paolo, è in realtà una critica. Essere intransigenti nella fede è “profondamente” sbagliato. Dunque la storia valdese è tutto uno sbaglio: perché essere intransigenti, fino alla morte? Da “Nulla sia più forte della vostra fede” a “Nulla sia più debole, sfuggente e ambiguo della vostra fede”. Certo, ci sono degli errori nella storia valdese. Soprattutto però in questi anni, però.

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*