“Chi mandero’ e chi andra’ per noi… Eccomi, manda me!” (MT 28: 19.20; ATTI 1:8)
di Paolo Brancè
“Chariots of Fire”, meglio conosciuto con il titolo italiano “Momenti di Gloria” è uno dei film più avvincenti della storia del cinema mondiale dell’ultimo trentennio. Gli appassionati senz’altro ricorderanno le scene suggestive degli atleti britannici che si allenano sulla riva dell’oceano a piedi nudi osservati con sguardo divertito da due avventizi che passeggiavano sulle spiaggia con il loro cane indispettito oppure l’emozionante corsa dei 400 metri alle olimpiadi di Parigi del 1924. Il film è un inno allo sport, al coraggio degli atleti che si sottopongono a duri allenamenti per raggiungere il massimo dei risultati: la Gloria.
Ma è anche un omaggio ad un atleta che, animato da una incrollabile fede in Gesù, seppe tenacemente e febbrilmente correre per la gloria di Dio. Egli si chiamava Eric Liddell (1902-1945), un missionario scozzese presbiteriano in Cina. Figlio di missionari, studiò al college di Elthan e all’Università di Edimburgo. Dotato di eccezionali doti atletiche, si preparò per le Olimpiadi di Parigi del 1924 per correre i cento metri, che era la sua specialità, rinunciando in seguito per le sue convinzioni religiose, perché la gara era prevista per la domenica. Corse alla fine per i duecento metri e per i quattrocento metri, conquistando una medaglia di bronzo e una d’oro. Una delle frasi toccanti detta da Liddell è il riconoscimento di correre per la gloria di Dio: “Io credo che Dio mi ha fatto per uno scopo, ma Egli mi ha fatto anche veloce. E quando io corro, io sento il Suo compiacimento” ( “I believe God made me for a purpose, but He also made me fast. And I when run I feel his pleasure”).
Liddell muore in Cina, internato in un campo di concentramento giapponese, il 21 febbraio 1945, adempiendo al suo mandato missionario fino alla fine. Infatti, egli ebbe la possibilità di essere liberato o in occasione di uno scambio di prigionieri. Avrebbe potuto raggiungere la moglie e i figli in Canada. Ma rifiutò questa possibilità, ottenendo che fosse liberata al suo posto una donna incinta.
La missione è una delle attività preminenti della Chiesa. È la risposta all’imperativo divino. Una chiesa che non è missionaria è una chiesa acefala, afona e agonizzante. Sin dall’inizio dell’era cristiana, la prima chiesa ha risposto con entusiasmo e con coraggio al Grande Mandato: “Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Questo grande imperativo è in stretta correlazione con un altro comando: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza e ama il prossimo tuo con tutto te stesso”. Una missione corretta (che può essere definita con il termine “evangelizzazione”) deve avere anche motivazioni corrette, che possono essere individuate nell’ubbidienza, nella compassione e nell’amore per la gloria di Dio: “come il Padre ha mandato me, così Io mando voi” (Giov. 20:21).
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