“…includendo i rapporti tra persone dello stesso sesso che nelle chiese valdesi e metodiste sono accolte e che, dopo sofferto dibattito causato da una cultura plurisecolare di discriminazione, hanno potuto iniziare un cammino verso il riconoscimento della loro realtà di amore e comprensione reciproca con la richiesta di benedizione della loro unione”.
Qui il Documento potrebbe anche terminare: senza dare neppure l’ombra di una giustificazione scritturale, che infatti non esiste (l’unica brevissima citazione biblica nelle prime tre lunghe pagine in realtà è una citazione del Documento del 1971, e non c’entra nulla con l’omosessualità) dice in questa frase tre cose molto pesanti.
1) “Discriminare” in sé può non essere negativo: il giudice deve discriminare il colpevole dall’innocente, il medico deve discriminare il malato dal sano, ma qui è chiaro che si intende una cosa equivalente alla discriminazione razziale. Dunque il Documento sinodale dà dei “discriminatori”, nel senso di “razzisti”, a coloro che all’interno della chiesa si sono opposti alle benedizioni per le unioni omosessuali. Si noti che, nonostante la menzogna
ripetuta cento volte della “larga maggioranza”, solo il 58% dei membri del Sinodo 2010 – presumibilmente soprattutto non eletti – votarono a favore di queste benedizioni, dunque il restante 42% è marchiato di “discriminazione” para-razzista. Si noti anche che quell’ordine del giorno lasciava le chiese locali libere di approvarle o meno: ora però il Sinodo 2015 dice che chi non le approva è equiparabile al razzista. Viene fuori un’ipocrisia veramente straordinaria: nel 2010, pur di ottenere l’approvazione delle benedizioni gay, si violò uno dei fondamenti dell’ordinamento della Chiesa Valdese (a partire dal patto dell’Unione del 1561, rinnovato con l’Unione delle Valli del 1571, confermato nel 1647 e nel 1658) che assegnano senza ombra di dubbio al Sinodo le decisioni di questa portata. Ma fu solo un meschino compromesso di cui gli artefici stessi non condividevano il contenuto, perché ora si dice chiaramente che chi non si adegua alla nuova dottrina è una persona, o una chiesa locale, indegna. Non era un compromesso, ma un inganno premeditato.
2) A chi si oppone alla celebrazione liturgica dell’omosessualitànon riconosce neppure la dignità di vedere menzionate le proprie motivazioni,
magari per dire che sono sbagliate. No: solo il marchio d’infamia di essere equiparati ai razzisti. Non è la prima volta che viene usato questo metodo da regime totalitario: agli oltre tremila valdesi che nel 1976 firmarono l’appello contro l’inquinamento politico e partitico in atto del messaggio evangelico viene attribuita, anche in un libro, la finalità – del tutto diversa – di condannare la candidatura (vedi qui, punto 8 della risposta) di un pastore al Senato sotto l’insegna del Partito Comunista, cosa ben diversa, cui invece l’appello neppure accennava. Sarebbe come se nei libri si scrivesse che i valdesi contrari all’adesione alla Riforma nel 1532, erano motivati dal razzismo verso i tedeschi o dalla volontà di aderire al cattolicesimo. Un’infamia, appunto.
3) La Bibbia è ormai combattuta in modo talmente profondo che una presa di posizione su basi bibliche, in questo caso la contrarietà alla celebrazione liturgica dell’omosessualità, non può neppure più essere definita come tale. Può darsi persino che ci sia una forma di “buona fede” in questo. Per costoro, infatti, seguire ciò che dice la Bibbia è peggio che sbagliato: è impensabile, è insensato. Dunque devono cercare un’altra spiegazione! Questo sì che è biblico: coloro che vedevano i seguaci di Gesù parlare in lingue il giorno della Pentecoste, non potevano pensare all’opera dello Spirito Santo, e dunque pensavano fossero “pieni di vin dolce”! O coloro che vedevano Gesù cacciare i demoni (Matteo 12.24), non volevano credere che potesse farlo in quanto Figlio di Dio, ma perché aveva l’aiuto di Belzebù. Pare essere questo la bestemmia imperdonabile: quella contro lo Spirito Santo di Marco 3:29.
4) È chiaro che il giudizio di “discriminazione” equiparabile al razzismo non riguarda solo chi si oppone oggi alla celebrazione (si potrebbe quasi dire “adorazione”) dell’omosessualità, ma va esteso a tutti i valdesi del passato. Infatti si dice che è una discriminazione “plurisecolare”, e dunque tutti sono marchiati d’infamia, fino a Valdo di Lione e a chi c’era prima di lui, e certamente fino all’apostolo Paolo e a Mosè, autore del Levitico. Sparisce dunque anche l’altra finzione ipocrita che giustifica la deriva omosessualista, quella secondo la quale l’evoluzione storica fa sì che oggi l’omosessualità vada considerata in modo diverso dal passato. No, per la nuova religione l’omosessualità è una verità assoluta fin dalla creazione, forse è il “logos” stesso del Vangelo di Giovanni. Dunque il marchio d’infamia va anche a Dio stesso, poiché la Bibbia, compresi i libri di Mosè e le lettere di Paolo, è parola di Dio. Siamo alla bestemmia più radicale. La Parola di Dio è respinta in modo inappellabilele, sostituita dall’ideologia gender-omosessualista. Abiura e apostasia.
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