Il teologo svizzero Karl Barth (1886-1968) deve essere annoverato come uno dei più influenti teologi del ventesimo secolo. Barth è stata la principale attrazione sulla passerella teologica mondiale, e la sua influenza, oggi diminuita, si fa ancora sentire. Infatti, l’Associazione Karl Barth del Nord America, fondata nel 1974, è attiva e prospera, almeno così si dice, e molti neo-evangelicali, alcuni dei quali della Associazione Teologica (neo) Evangelica, sono impegnati a rivitalizzarne la teologia.
Nonostante, anzi forse proprio a causa delle proporzioni della sua opera (la sua “opus imperfectum” Dogmatica Eccesiale è lunga nove volte gli Istituti di Calvino e due volte la Summa Theologicae dell’Aquinate), Barth rimane un enigma per molti cristiani, e per diverse buone ragioni. Per cominciare, le sue vedute teologiche cambiarono nel corso del tempo, perfino durante gli anni in cui scrisse la Dogmatica. Educato nel modernismo, nel liberalismo e nel metodo storico-critico di Adolf von Harnack, Wilhelm Herrmann, e altri membri della compagnia teologica di Korah in Germania, la voce iniziale di Barth parlava fluidamente il dialetto modernista. Nelle sue stesse parole: “Ho fatto di me stesso un devoto discepolo della scuola ‘moderna’, che era ancora quella prevalente fino al tempo della Prima Guerra Mondiale, e che era considerata la sola scuola a cui valeva la pena appartenere.”
Dopo aver lasciato l’università, nel 1909, Barth servì prima come pastore a Ginevra, e in seguito, dal 1911 al 1921, a Safenwil, nel Canton Argovia. Durante e dopo la Grande Guerra, un conflitto che mandò in pezzi l’ingenuo ottimismo di molti modernisti e liberali e, in particolare, la fede di Barth nei suoi maestri modernisti, egli reagì emozionalmente al modernismo, attaccandolo. Durante la seconda maggiore fase del suo pensiero, all’incirca negli anni venti, era più in debito con il filosofo danese Soren Kierkegaarche col teologo tedesco Friedrich Schleiermacher, vissuti nel secolo precedente. Negli anni trenta Barth prese le distanze dagli estremi paradossali degli anni venti e propose una teologia che sosteneva fosse più in linea con la Riforma.
Queste svolte nella sua teologia già causano una certa confusione al lettore, ma ci sono altre e molto più importanti ragioni per la sua persistente opacità.
Una ulteriore ragione per cui Barth rimane un arcano per i cristiani è costituita dal suo stile: la sua turgida prosa non si presta facilmente alla comprensione. Si può ben dire della teologia di Barth lo stesso che egli disse di qualcun altro: “la vostra opera … non ha né capo né coda… e se si cerca nel mezzo si trovano solo tenebre”.
Ora sono tre le principali ragioni per cui la propria scrittura non è chiara:
(1) pensiero confuso, che si manifesta nella confusione nei propri scritti;
(2) malafede, come George Orwell ben illustrò nel suo classico saggio Politics and the English Language, che motiva uno scrittore a camuffare la sua vera intenzione e il vero significato usando termini in modi equivoci e sovversivi; e
(3) una filosofia conduttrice che sostiene che l’asserzione di espressioni contrarie o contraddittorie significhi fare della genuina teologia o filosofia.Karl Barth appare ricadere in tutti e tre i casi.
Buswell così esprime questa argomentazione ne “The Bible Today” di giugno-settembre 1950 (p. 261-262):
Barth è mutevole. Il professor Samuel Hamilton, un mio amico, gli scrisse alcuni anni fa per conto di un suo studente laureato. La richiesta verteva su alcune apparenti contraddizioni presenti nel commentario di Barth ai Romani. Barth così rispose: “Ja mein Herr Professor, è così, io mi contraddico; so ist das Leben, Così è la vita. E procedendo poi, come se niente fosse, a evidenziare una serie di altre contraddizioni nello stesso libro! Cambiamenti e contraddizioni sono una peculiarità della letteratura barthiana dall’inizio alla fine.
Tutto questo “non fa problema” per la mentalità irrazionalista post-moderna.
Consideriamo poi anche la questione della malafede per prima. Una delle cose che rende Barth così incomprensibile ai cristiani è che egli perfezionò l’arte di usare tutte le giuste parole per dire cose tutte sbagliate. Barth rivendicava di stare saldo nella “tradizione Riformata”, ma aveva offerto alcuni “correttivi” a Calvino, come la dichiarazione che “tutti gli uomini sono eletti in Cristo per la salvezza”. Eppure nonostante questo Barth continuava a sostenere decisamente di essere un figlio della Riforma. Questo inganno, un allucinante inganno di cui lo stesso Barth può essere stato vittima, è indubbiamente seducente. Barth scrisse spesso della grazia, il libro di G. C. Berkouwer si intitolava Il Trionfo della Grazia nella Teologia di Karl Barth (Barth avrebbe invece voluto che fosse intitolato Il Trionfo della Libertà in Gesù Cristo), attaccò con veemenza il modernismo, difese il Verbo di Dio rivelato, difese perfino le idee di Sola Scriptura e Solo Christo, ma sulle sue labbra il significato di queste parole mutava, così come era cambiato il significato di “elezione”.
Nella teologia di Barth la “Parola di Dio” non deve essere identificata con la Bibbia, che contiene errori e mitologia (o saga). Il significato dell’autorità della Scrittura, così scrisse Barth, “non è quello ‘fondamentalista’, che vuole che sia il testo sacro come tale a essere la base appropriata e finale della conoscenza”. Infatti “Il concetto ‘verità della rivelazione’ nel senso di proposizioni Latine (o Greche, o Ebraiche, presumibilmente) date e sigillate una volta per sempre dalla divinità autorità mediante parole e significato, è teologicamente impossibile”. La teologia di Barth, mentre enfatizza continuamente la “rivelazione”, rende la rivelazione proposizionale impossibile. La rivelazione non è una proposizione ma un evento. “La Parola di Dio si compie ancora oggi nella Bibbia”. Scrisse ancora Barth: “e a parte questo avvenimento la Bibbia non è la Parola di Dio, ma un libro come tanti altri libri”. (Il lettore deve sapere che gli “avvenimenti”, gli “happening” beatnik e hippie degli anni ’50 e ’60 del ventesimo secolo, proprio come la teologia di Barth, erano effetti della filosofia e della teologia del diciannovesimo e inizi ventesimo secolo). Il “racconto della creazione” è un mito o un poema, come Barth spiegò in una lettera a una sua pronipote, e l’Evoluzione non contraddice la Genesi, l’Evoluzione è quello che scientificamente è accaduto. E se un cronista fosse stato presente alla resurrezione di Cristo, non ci sarebbe stata alcuna notizia da riportare.
Lascia un commento