Il diritto negato a considerarci valdesi. Cosa vuol dire essere valdese?

La Chiesa valdese di San Secondo, attraverso la sua pagina facebook ha condiviso un post dal titolo: “Sentimenti divisi”, nel quale Fulvio Ferrario – Teologo Valdese, Docente di Teologia Sistematica presso la Facoltà Valdese di Roma, denuncia il fatto che l’aggettivo “valdese” del nostro sito non abbia NULLA a che fare con la Chiesa valdese.

Oltre ad insolentire in vario modo il nostro fratello, sen. Malan, afferma infatti: “Nella sua pagina personale, Malan segnala anche un sito che ha, nel proprio nome, l’aggettivo “valdesi”, ma che non ha NULLA a che fare con la Chiesa valdese: ne parla spesso, certo, ma per insolentirla, esattamente come fa il senatore”.

Occorrerebbe innanzitutto chiedersi quale sia l’identità vera della Chiesa valdese.

Se i rappresentanti autorevoli della chiesa ufficiale valdese di oggi dovessero scrivere la loro propria Confessione di fede sarebbe interessante metterla a confronto con quella Valdese del 1655. I Valdesi di allora consideravano la Bibbia come Parola di Dio nella sua completezza; la teologia ai tempi della mia giovinezza, diceva che la Bibbia non è parola di Dio, ma contiene la parola di Dio, aprendo la porta in questo modo, a una falsa contestualizzazione atta a sminuire, se non a cancellare, la parte normativa della Scrittura come somma autorità per la fede e la condotta.

Oggi la teologia “contestualizzando” la Parola di Dio per mezzo dell’ evoluzione del pensiero umano, delle conoscenze conquistate attraverso la scienza e della società e nell’ambito stesso dell’evoluzione della famiglia e dell’affettività, non considera più la Scrittura come rivelazione scritta da Dio, annullando, in questo modo, la convinzione del cristianesimo storico, secondo cui la Scrittura costituisce la rivelazione verbale di Dio messa per iscritto. Questo non incontra il favore di molti teologi contemporanei, infatti si parla con insistenza di semplice “resoconto umano”.

Questo certo non vuol dire leggere la Bibbia senza tener conto del contesto storico-sociale degli avvenimenti, ma un tale procedimento di analisi non deve toccare la parte normativa come somma autorità per la fede e la condotta; non deve considerare intere sezioni bibliche come favole e leggende; non deve usare l’autonomia della ragione umana per comprenderla, perché tale ragione è corrotta dal peccato, e non è illuminata dalla rigenerazione e non può comprendere rettamente le cose di Dio; non deve ritenere che il dubbio sia il meccanismo attraverso il quale si giunge alla conoscenza, poiché il dubbio crea la difficoltà nei confronti di chiare affermazioni bibliche; non deve miniare l’attualità della Parola di Dio con la tecnica sofisticata di doverla adattare ai tempi moderni, snaturandola e facendole perdere la sua autorità; non deve minare la sua autorità anche per il semplice fatto che il cielo e la terra passeranno, ma le parole di Cristo non passeranno.

L’approccio puramente “umano” alla Bibbia, va incontro a una degenerazione che non permetterà più di distinguere e di conoscere il Gesù rivelato nella pagine ispirate. Ma si sa, i teologi valdesi di oggi “esperti in dibattiti culturali” ed abili nel manipolare parole e concetti, pervertendo le Scritture si sentono in grado di giustificare qualsiasi cosa confondendo i loro ignari estimatori. Questo non era certamente lo spirito dei valdesi nel passato. Non abbiamo bisogno del loro “imprimatur” per definirci valdesi e portare avanti un’identità che loro pervertono e tradiscono.

Daniela Michelin Salomon

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