“Una divina esortazione agli onorevoli, savi, probi, venerandi confederati di Schwytz, affinché si guardino e si liberino dai signori stranieri” di Ulrico Zwingli (1484-1531) è una delle sue prime opere a stampa di Zwingli e probabilmente tra le più famose. Come appare dal titolo, si tratta di uno scritto rivolto ai confederati di Schwyz per esortarli a mantenere l’unità nazionale minacciata non soltanto da questioni di fede, ma altresì da un problema particolarmente scottante: quello del mercenariato. Nella Svizzera sovrappopolata degli anni venti del secolo XVI il mercenariato costituiva un’industria particolarmente lucrativa. Ma il mercenariato portava con sé non pochi problemi: primi fra tutti la decadenza dei costumi e il diffondersi di dissensi ed interessi contraddittori all’interno della Confederazione. Quest’opera, che include molte citazioni bibliche, stabilsce il legame, troppo spesso misconosciuto, che unisce la virtù pubblica al discepolato cristiano. L’11 gennaio 1522 il Consiglio di Zurigo emise un divieto generale del servizio mercenario a favore di qualunque signore straniero «sia esso il papa, l’imperatore, il re di Francia o singoli prìncipi e signori». L’osservanza dell’ordinanza fu costante e scrupolosa. La battaglia di Zwingli per l’abolizione del mercenariato era soprattutto una battaglia per la difesa spirituale e morale del proprio paese. Quest’opera smaschera con lucida satira l’ideologia della guerra con i suoi tragici risvolti umani e si afferma la fede in Cristo, il solo che potrà dare adito ad una convivenza civile autentica. La guerra, dice Zwingli, è la fine della legalità e quindi della vita associata.
Quale sarebbe la posizione sull’obbligo di prestare un servizio di natura militare quando non si è in guerra e rispettivamente quando la guerra è offensiva?