Nel 1969 arrivò “la rivoluzione” al Sinodo Valdese, con cartelli marxisti e maoisti esposti dalla galleria del pubblico, dove presero posto giovani adeguatamente forniti di barbe e chiome fluenti, magliette di Che Guevara e altri elementi della divisa sessantottina, dove per le donne erano d’obbligo jeans aderenti all’inverosimile e capelli accuratamente mal curati. La stagione estiva impediva di vestire gli elementi essenziali della divisa invernale: eskimo verde e maglioni intrisi del fumo di lunghe riunioni di cellula o di collettivo di autocoscienza, che però tornarono negli inverni seguenti quando la smania di impegno politico sbarcò nelle assemblee di chiesa e nelle riunioni quartierali. C’era chi cercava improbabili paralleli tra la realtà locale e quelle dei “campesinos” dell’America Latina e nei “campi ecumenici” di Agape si andò ben oltre ospitando interlocutori tali che anni dopo una radio torinese parlerà – poi smentita dal Moderatore – di sostegno alla lotta armata.
Chi, come il movimento Testimonianza Evangelica Valdese, si opponeva a tale tipo di “impegno politico”, veniva accusato o di “stare con i borghesi”, o semplicemente di essere “fascista”. Quando si voleva argomentare li si accusava di insensibilità sociale, di non capire le esigenze delle classi lavoratrici.
Si possono dire tante cose di quell’epoca, di cui la più importante è che per la prima volta dei pastori e altri esponenti valdesi dicevano apertamente che la Chiesa aveva cose più importanti di cui occuparsi che non Gesù Cristo e la Parola di Dio. Ma queste cose più importanti erano le questioni sociali, il benessere dei meno fortunati della società, il problema dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Discutibile il modo in cui se ne occupavano, condannabile farlo a scapito della vera missione della Chiesa, ma erano cose che stavano nella realtà, anche se vista con spessi occhiali ideologici.
Cosa succede oggi, a quaranta-cinquant’anni da quel periodo, quando i giovani dell’epoca hanno raggiunto la massima influenza nella Chiesa? Proviamo a vederlo attraverso le pagine di Riforma, il settimanale ufficiale delle chiese battiste metodiste e valdesi o attraverso i lavori sinodali. Ne emerge una realtà chiusa in se stessa, che non si accorge di ciò che avviene nel modo reale, neppure nel mondo di quei membri di chiesa di cui si lamenta l’assenza dalla vita comunitaria, ma anche di quei pochi che vi partecipano. Le discriminazioni gravissime nella sostanza e micidiali di presupposti introdotte con le norme “contro la pandemia” che pure includono tanti membri di chiesa, non esistono. Non esiste l’invasione della tecnologia nella vita quotidiana, che ha trasformato “i proletari” di ieri in meri “consumatori”, per di più marginali per il loro basso reddito, visto che la loro forza lavoro non interessa più a nessuno in quanto la produzione avviene in Cina e altrove. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo non interessa più, l’istupidimento delle masse a cominciare dalla scuola, un tempo attribuito ai “borghesi” come strumento di dominio, è un argomento scomodo e ignorato. I problemi di oggi, in quella realtà parallela, sembrano essere: i “diritti LGBT”, compreso l’orrendo sfruttamento delle donne povere costituito dall’utero in affitto, i “cambiamenti climatici” (considerati ormai un dogma assoluto) da combattere a furia di politiche che impoveriscono i piccoli e arricchiscono grande finanza e colossi mediatico-industriali, l’ora – del tutto facoltativa – di insegnamento della religione cattolica nelle scuole (mentre si ignora l’indottrinamento ateistico presente in quasi tutte le altre lezioni), i pochissimi soldi che lo Stato dà a favore delle scuole private, la presunta carenza di leggi per facilitare l’eutanasia e altre cose di questo tipo.
La chiusura al mondo reale è talmente forte che fa ignorare ciò che è evidente anche nella vita delle chiese. Ad esempio, quando si dà, con commovente gaiezza, notizia delle confermazioni, mai una parola sul fatto che chiese dove cinquant’anni fa i confermandi erano quindici/venti, oggi sono tre o quattro. Quando si ignora la scarsissima partecipazione ai culti, il calo annuale del 2 o 3 per cento dei membri di chiesa, la fuga in massa da certe chiese condotte da pastori ultraprogressisti (di cui si sa solo da documenti sinodali “riservati”)…
Del resto, quando non ci si pone il problema di quale senso abbia sminuire in ogni modo la Bibbia per una chiesa che si dice evangelica (cioè basata sull’Evangelo), riformata (dalla Parola di Dio, non dalle mode ideologiche) e valdese (cioè fedele al cristianesimo della Bibbia, non del clero o di altri usurpatori), perché occuparsi di cose che, per quanto importanti, rispetto alla prima sono del tutto secondarie?
Leonista
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