Le benedizioni sono state una bomba. Se due “si mettono insieme” è famiglia. Dal 1971 la famiglia è cambiata…
In attesa di vedere il famoso documento su famiglia e matrimonio approvato dal Sinodo, possiamo solo fare riferimento alla conferenza stampa del 30 agosto, tenuta dal pastore Giuseppe Platone con due membri dell’apposita commissione: il pastore Paolo Ribet, noto a questo sito (usate l’ottima casella di ricerca per saperne di più), e il pastore (nei ruoli della Chiesa Valdese, benché non consacrato da essa) Enrico Benedetto, neo professore di teologia pratica alla Facoltà di Roma.
Platone, che conduce la conferenza stampa, esordisce dicendo che “vecchi documenti degli anni ’70 sono apparsi vecchi”, riferendosi al Documento sul Matrimonio e sulla famiglia, approvato dal Sinodo del 1971, sulla base delle scritture e coerente con secoli di storia. Poi passa la parola a Paolo Ribet, coordinatore della Commissione su matrimonio, famiglia e coppie di fatto istituita dal Sinodo 2011.
Ribet parte con un’affermazione “esplosiva”: “la bomba che ha fatto deflagrare tutto è stata la decisione del Sinodo 2010 di autorizzare le chiese locali a celebrare le benedizioni delle coppie dello stesso sesso”. Ma non ci hanno detto in tutti i modi che la faccenda delle benedizioni era una faccenda di poca importanza, che non ha a che fare con i fondamenti della Chiesa e che noi sbagliavamo a sottolinearne la gravità? Ritengo “non sia un argomento su cui sta o cade la chiesa”, ci aveva scritto proprio Ribet nello spiegare perché aveva convintamente votato a favore della condanna sinodale a valdesi.eu ? Ora invece è una “bomba che ha fatto deflagrare tutto”. Si dice che solo i cretini non cambiano mai idea e qui abbiamo certamente a che fare con intelletti raffinatissimi!
Ecco come prosegue:
Paolo Ribet: “Quella delle coppie dello stesso sesso era solo un elemento.”
Proprio quello che abbiamo detto noi: dove andremo a finire? Ma noi, secondo Lor Signori, facevamo dell’allarmismo strumentale.
Paolo Ribet: “Oggi abbiamo una serie di nuove forme di famiglia: giovani che si mettono insieme, senza chiedere il permesso, senza dire niente né in municipio né in chiesa, le famose coppie di fatto. Qui c’è non soltanto una nuova forma di famiglia, ma c’è la necessità di un ripensamento di un atteggiamento rispetto a ciò che c’è, tra virgolette “sul mercato”. Queste persone si mettono insieme, non chiedono di sposarsi perché evidentemente è il matrimonio quello che fa problema. Quello che dobbiamo capire è queste parole che noi oggi pronunciamo, che senso hanno oggi per noi: la parola “matrimonio”, la parola “famiglia”, le “nozze”, spesso per “matrimonio” si intendono in realtà le nozze, e via discorrendo. Cosa significa “genitorialità”. Tutti questi temi secondo me vanno oggi ripensati. Perché? Perché le stesse parole hanno nella società, nel sentire comune, significati diversi.”
Tre commenti.
- Definizione. Prima già definisce “famiglia” due persone “che si mettono insieme”, poi si chiede se oggi la parola “famiglia” ha un significato diverso! Secondo il Documento sulla famiglia della Chiesa, la famiglia sorge quando in un matrimonio c’è la presenza di figli, anche nati fuori dal matrimonio e naturalmente anche adottivi. Ovviamente, se si definisce “famiglia” qualsiasi tipo di aggregazione umana che comporti forme di coabitazione il Documento sinodale del 1971, diventa vecchio, diventa vecchia la Costituzione italiana, diventano vecchi i vocabolari della lingua italiana, e vecchissime le migliaia di passi biblici in cui si fa riferimento ai legami familiari. Questo è ciò che in logica si chiama “petizione di principio”, nel linguaggio corrente “partito preso”, ovvero “pregiudizio”. Tra l’altro, molte di quelle giovani coppie, non vorrebbero saperne di essere definiti “famiglia”.
- Dignità. Chiamare famiglia solo ciò che secondo il Documento del 1971 e la Costituzione italiana lo è non implica necessariamente giudizi negativi e tanto meno mancanza di rispetto per altri tipi di aggregazione. Implica solo tenere presente delle differenze oggettive. Due persone che “si mettono insieme” possono farlo con svariati atteggiamenti: dall’intendimento di essere uniti “finché morte non li separi” fino alla sistemazione temporanea di convenienza e altro ancora. Chi siamo noi per decidere che sono comunque “famiglia”? Ci sono legami personali nobilissimi che non sono famiglia. Non per questo sono meno stimabili.
- Realtà storica. È tristemente divertente vedere persone di cultura, che hanno studiato la storia, e la Bibbia in particolare, mostrare di credere che le forme di convivenza senza matrimonio siano nate dopo il 1971. Ma la parola “concubina”, nell’ebraico biblico פילגש (“fileghesh”; vedi ad esempio Giudici 19), non è stata certo coniata negli ultimi 40 anni! L’omosessualità non è certo nata ieri e neppure i legami duraturi tra coppie dello stesso sesso.
Paolo Ribet: “Nella Chiesa Cattolica tutti questi argomenti sono chiamati sacramentaria, cioè si parte dal sacramento, dall’alto, e si scende nella realtà quotidiana, quindi il matrimonio è un sacramento, è definito in quel modo lì, quindi anche nella società deve essere così.
Per i protestanti il discorso è assolutamente inverso, come ci spiegherà il docente di teologia pratica. Da noi la teologia pratica (questi atteggiamenti di fronte alla realtà), nasce dal basso, cioè dal dato sociologico: che cos’è la famiglia, che cos’è il matrimonio e via discorrendo, e come si pone la chiesa, o come si pone la teologia, la Bibbia, eccetera di fronte a questi temi. Nel nostro documento abbiamo tentato di fare esattamente questo. In una prima parte capire a che punto siamo come chiesa (abbiamo citato un documento del ’71, quindi è invecchiato) e dove sta andando la società. Questi sono due capitoli da cui partire per la riflessione.”
Tutte le volte che non si sa bene come giustificare una certa posizione, si tira in ballo la Chiesa Cattolica, implicando che se noi diciamo qualcosa di diverso abbiamo senz’altro ragione. In questo caso andrebbe precisato che per noi il matrimonio non è un sacramento perché non riteniamo che nella Bibbia esso sia istituito come tale, e su ciò non c’è alcun problema. Ma anche il “non uccidere” non è un sacramento, anche il “non dire falsa testimonianza”, il “non rubare” non sono sacramenti, né lo è l’amore per il prossimo. Eppure speriamo che parlando di queste cose non si parta dal dato sociologico! Non è che se si scopre che molti uccidono, rubano, testimoniano il falso e odiano il prossimo, la Chiesa allora accetta questi comportamenti, poi si va a vedere se per caso la Bibbia dice qualcosa al riguardo, e in ogni caso la si interpreta alla luce del fatto che oggi la si vede in modo diverso e non si può essere troppo categorici. Pensiamo che neppure Paolo Ribet la pensi in questo modo.
Pastore Platone: “Sempre stati per patti transitori”. Professor Benedetto: “Usciamo da buono e cattivo. L’Evangelo è questo”
La conferenza stampa del 30 agosto è tutt’oggi, dopo otto giorni, l’unico indizio per conoscere la decisione del Sinodo su (o piuttosto contro) famiglia e matrimonio.
Questo secondo intervento conclude l’esposizione da parte dei membri della commissione sulla traumatica decisione. Dopo ci sono solo due domande con relative brevi risposte. Ci si aspetterebbe perciò dal professor Benedetto, che pur non essendo valdese è professore di teologia pratica presso la Facoltà di teologia Valdese di Roma, piena chiarezza sui contenuti della decisione e sui suoi presupposti biblici. Per questo riportiamo il suo intervento integralmente (di Paolo Ribet abbiamo omesso un paio di frasi di collegamento): per quanto possa parere strano ha detto precisamente queste cose, parola per parola e in tutta serietà. Non c’è da stupirsi se certi studenti di teologia hanno idee un po’ confuse alla fine dei loro studi.
Giuseppe Platone (moderatore della conferenza stampa): “Sarà interessante vedere come le chiese locali reagiranno, discuteranno su questo documento corposo che ha prodotto la commissione, di cui fa parte anche il professor Benedetto…. Io però vorrei chiedere un’altra cosa al professor Benedetto. Noi protestanti non siamo anche figli di un divorzio, di una separazione? Ragioniamo anche di questo, perché alla fine non abbiamo mai avuto un’idea così fissista del matrimonio, siamo piuttosto persone che addivengono a dei patti, che sono transitori, che non sono indissolubili. Sciogliamo un po’ questa materia, professore.”
Enrico Benedetto: “Siamo più e meno che figli di un divorzio: siamo nati divorziando, cosa che non è data dal diritto di famiglia italiano e di altri paesi. Non abbiamo avuto bisogno di giungere al diciottesimo anno di età, contrarre matrimonio e subito divorziare, vale a dire: è stato uno dei rari casi di eresia riuscita, di separazione non promessa all’annientamento. È stata promessa a anatemi. È stata promessa a maledizioni, ma non solo c’è stata sopravvivenza, ma c’è stata vita, anzi direi che la separazione è stata condizione di vita come in fondo succede nel mondo biologico cellulare. Una cellula cresce dividendosi e separandosi. La divisione è un fattore costitutivo e costruttivo della vita. Si passa, anche nel racconto del libro della Genesi da forme di vita monocellulare o oligocellulare a organismi complessi. E visto che Martin Lutero, ammesso sia stato lui il primo protestante, cosa di cui dubito, non era il frutto di un babbo protestante e di una mamma protestante e ha esordito divorziando, forse tutto questo, che è un patrimonio, e non una tara spero, semimillenario – il 2017 non è lontano e si celebrerà spesso, spero, guardando il futuro e non il passato o il presente, il mezzo millennio della riforma protestante – in tutto questo tempo alcune cose si sono potute dire e si sono potute fare, dalla definizione del pensiero puritano del matrimonio come conversazione, vale a dire la capacità di parlare e di parlarsi, paritaria, evidentemente, perché se una conversazione è unilaterale è un monologo e non un dialogo. Tutto ciò detto in tempi in cui il matrimonio era valido nella misura in cui la sposa soggiaceva alla concupiscenza del marito, era valido al momento in cui c’era una nuova vita. Il pensiero protestante ha detto che la fecondità del matrimonio può essere grande in assenza di figli epoca o nulla in presenza di figli perché il gioco è il gioco della relazione. Non è il gioco della vidimazione, non è la ginecologicità della vita matrimoniale, è altro. Aggiungerei che in una prospettiva protestante il matrimonio non esiste se non come contratto civile. Per la chiesa esistono gli sposi. E quando ero, e lo sono tuttora, pastore, oltralpe, in Francia, tenevo molto al titolo della liturgia nuziale della nostra chiesa, Chiesa Riformata di Francia fino a qualche mese fa, oggi Chiesa Protestante Unita, vale a dire: “benedizione di una coppia in occasione del matrimonio”. Il matrimonio non è benedicibile perché non si benedice un contratto. Se lo si benedice si fa di questo contratto, perdutamente umano, il calco divino di una istituzione terrena, imperfetta, transeunte e perfettibile. Non si benedicono neanche gli sposi fifty fifty, si benedice questo improbabile essere comune che gli sposi, direi ogni persona che si ami alla luce di una promessa e di un accordo, intrattengono fra loro. È il terzo uomo, la coppia: non sono più io pur essendo io, non sono più solo io pur essendo solo io, la benedizione sta nel trait d’union. È lì che c’è bisogno di Dio, la benedizione cristiana è un triangolo, non nel senso del vaudeville e del gossip, è convocare Dio in presenza dell’uomo, perché cara te, mia sposa, caro te, mio sposo da soli non ce la facciamo, chiamiamo Dio ad essere presente nella nostra vita. Questo ci dà un savoir faire e anche un saper essere che nei corsi e nei ricorsi della storia, nelle separazioni di cui è ricca la storia protestante perché ci siamo, abbiamo esordito con il divorzio dalla chiesa Cattolica Apostolica Romana ma abbiamo mantenuto l’allenamento e la forma per così dire, divorziando, continuando un po’ a divorziare, a separarci al nostro interno, eppure a tenere un legame. Che cosa si potrebbe dire della Chiesa Cattolica? Si potrebbe dire che le famiglie sono tante e la casa è una sola, San Pietro per semplificare. Che cosa si potrebbe dire in ambito protestante? Che le case dono diverse ma la famiglia è una sola. C’è una grande familiarità. È importante il termine “familiarità” rispetto alla famiglia. C’è anche in un sinodo. Questo non solo impedisce ma consente anche di litigare e dove c’è familiarità ci sono spazi e tempi non per un compromesso, ma per una non penalizzazione del diverso. Non abbiamo bisogno della copia conforme, non deteniamo un archetipo, e quindi come nelle impronte digitali, non chiediamo a ciascuno, nubendo, nubenda, di due sessi, di un sesso, di mettere il ditino per verificare che l’impronta coincida allo stesso modo. Possiamo permetterci una diversità che non è dispersione, che non è condanna. Possiamo, nella vita decostruita e destrutturata che è diventata la nostra, pensare una ricomposizione che non è un compromesso, che richiede arte, c’è la parola composizione, è una bella cucina, che metta speranza (ha detto proprio così! Nota della Redazione), e che non dica: “Tu, tu, tu: no buono. Tu buono”. Magari il “buono”, il matrimonio con figli è una prigione e un inferno. Usciamo dal buono e dal cattivo, proviamo a vivere con uno sguardo di benevolenza, che è lo sguardo del Vangelo, le situazioni di vita, che non sempre ci è dato scegliere, che incontriamo. Investiamo ciò che incontriamo di un impulso che non sia un impulso giudicante. L’Evangelo, se non è questo, ma che cosa sarà mai?.”
Mai citato un passo biblico. Ignorato il fatto che siamo Valdesi
Quella di Platone, sul fatto che “noi protestanti siamo figli di un divorzio” sembrava una battuta, tutt’al più uno spunto, ma il professore di Teologia Pratica Enrico Benedetto la prende molto sul serio e ci ritorna con insistenza. Mai gli passa per la testa di specificare che una coppia è cosa del tutto diversa da una complessa comunità umana per quanto molto particolare, come la chiesa. Tant’è vero che la parola “divorzio” si usa solo rispetto a una coppia sposata, mentre per altre realtà si usano altre parole: divisione, scissione, scisma, e così via. Ma per Benedetto sembra che l’importante sia la “separazione” in sé. “Separazione: buono. Unione: no buono” (parafrasando il Benedetto, il quale a sua volta si rifaceva a un tormentone degli anni ’80 del comico televisivo Andy Luotto), sembra essere il messaggio che più gli sta a cuore, a costo di parlare di cellule. Le persone sembrano essere poco importanti. Sembra anche essere poco importante ricordare che separarsi può essere un male necessario, non certo un bene in sé, sia per le coppie, sia per le chiese, mentre per le cellule è un’altra faccenda. Viene in mente quel pastore che, nel “mandarci al diavolo” ha ricordato l’etimologia della parola ‘diavolo’, che deriva da un verbo greco che significa “dividere, separare”.
Né nell’intervento di Ribet né in quello di Benedetto viene mai citato alcun passo biblico. Ribet dice che bisogna anche vedere come si pone la Bibbia su questi problemi (senza però dire nulla al riguardo), ma più che altro per sottolineare che deve prevalere il “dato sociologico”. Benedetto menziona l’Evangelo in modo apodittico, cioè affermando che le sue discutibilissime opinioni sono, non già compatibili con l’Evangelo, ma addirittura sono l’Evangelo. La solita tracotanza comune a molti suoi colleghi: partire dalla propria opinione per decidere qual è la giusta interpretazione della Bibbia, anzi, la Bibbia stessa! L’opposto di ciò che dice la Confessione di Fede, che – va detto – Benedetto non ha sottoscritto, non essendo stato consacrato pastore valdese.
Né a Ribet, né tanto meno a Benedetto, e neppure a Platone, passa per la testa che siamo valdesi, parola e concetto che mai citano. Nella sua lunga e strampalata, e comunque fuori tema, disquisizione sulle chiese che nascono da separazione, mai gli viene in mente che sta parlando a nome di una chiesa che c’era almeno tre secoli prima di Lutero e che, anche nella dogmatica storiografia secondo la quale i Valdesi sarebbero nati dal nulla con Valdo, non si separò dalla chiesa occidentale che fa capo a Roma, e non intendeva farlo (tant’è vero che Valdo andò dal Papa per ottenere l’autorizzazione alla sua attività, e la ottenne), ma ne fu espulsa perché voleva svolgerne davvero la missione: predicare l’Evangelo. Nell’altra versione, quella da tutti accettata fino a 150 anni fa, le cose sono ancora più chiare. Scriveva il vescovo Claudio all’inizio del IX secolo: “io non insegno una nuova setta, mi attengo alla pura Verità… reprimo combatto e distruggo quanto più posso le Sette, gli Scismi, le Superstizioni e le Eresie e non cesserò di farlo, con l’aiuto di Dio”, è il papa Pasquale che fonda “una nuova Setta, abbandonando la Dottrina degli Apostoli”. Certamente a questi signori fa molto più comodo convincerci che non siamo altro che un insignificante scampolo di quelle chiese riformate che vanno perdendo di pari passo fedeltà alla Bibbia e fedeli, mentre la nostra storia è molto più antica e complessa e ci impone responsabilità, se non altro storiche, assai maggiori. Ma non basta. Benedetto torna alla carica dicendo: “abbiamo esordito con il divorzio dalla chiesa Cattolica Apostolica Romana ma abbiamo mantenuto l’allenamento e la forma per così dire, divorziando, continuando un po’ a divorziare, a separarci al nostro interno”. Se chi l’ha nominato professore di teologia pratica per la Chiesa Valdese non gliel’ha detto, glielo diciamo noi: “Per sua informazione, caro professore, i Valdesi non si sono mai divisi, se non per una piccola scissione del XIX secolo a San Giovanni, rientrata dopo pochi anni. La frase che campeggia nell’abside dell’Aula Sinodale (oggi proibita ai comuni membri di chiesa ma non a lui che è pastore) non è un fatto decorativo o retorico, ma l’impegno preso nel giuramento di Sibaud del settembre 1689, un impegno che vale ancora oggi”. E quell’impegno comprende non creare divisione da parte di chi ha responsabilità: non a caso in quell’occasione “gli Ufficiali [giurarono] fedeltà ai soldati, e i soldati agli Ufficiali”. Gli ufficiali sono oggi i pastori, i membri della Tavola, i professori di Teologia. La loro fedeltà ai soldati, noi membri di chiesa, sta nel non tradire la confessione di fede, che hanno solennemente sottoscritto ed è ciò che ci unisce. Sono cose che ogni bambino valdese sapeva perché gli venivano insegnate. Oggi non le sa neanche più il professore di teologia pratica: colui che ha l’incarico di spiegare ai futuri pastori qual è la loro missione! E se lo sa e fa finta di niente, molto peggio ancora.
Significativo il passaggio di Benedetto sulla “vita decostruita e destrutturata che è diventata la nostra”, sulla quale non ci deve essere il criterio di “buono e il cattivo”. È molto chic usare le parole “decostruire” e “destrutturare”. Oggi ci sono anche le giacche “destrutturate”: sono mal rifinite come quelle a basso prezzo ma costano come quelle fatte bene perché sono di moda. Ma, al di là delle parole alla moda, ciò di cui parla Benedetto è “vita senza principi e senza regole”. La Bibbia serve, tra le altre cose, proprio a darci qualche principio e qualche regola: “regola della nostra fede e vita” (articolo 3 della nostra Confessione di Fede basata sulla Bibbia). Ci insegna anche – certo – “la benevolenza”, anzi l’amore verso tutti, indipendentemente dai loro peccati, veri o presunti. Ma proprio perché amiamo il nostro prossimo dovremmo trasmettergli il dono di Dio: la Sua parola. Non falsificarla riducendola alla mera “benevolenza”. Siamo cristiani valdesi, non buddhisti dilettanti.
Che dire infine dell’affermazione di Platone secondo la quale non abbiamo mai avuto un’idea così fissista del matrimonio, siamo piuttosto persone che addivengono a dei patti, che sono transitori, che non sono indissolubili”? Di nuovo questo attribuire al passato, ad altri, le stravaganze, o piuttosto le aberrazioni proprie di oggi? Proprio lui, che con Ribet mostra di credere che solo dopo il 1971 si siano inventate le “nuove forme di famiglia”, invece vecchie almeno quanto l’Antico Testamento, adesso ci dice che noi, si suppone noi Valdesi, “non abbiamo mai avuto” una idea “fissa” del matrimonio ? Ma se proprio il Documento sinodale del 1971 (dopo Cristo !) definisce il matrimonio “unione duratura per il tempo della vita terrena dei coniugi”! Si potrebbe dire che Platone (ricordiamo quando ha detto che nella chiesa valdese non c’è dissenso sulle benedizioni gay, tutt’al più tra i pentecostali!) non ha mai avuto un’idea così fissista della verità, con la quale addiviene a patti che sono transitori, che non sono indissolubili”… almeno su questi argomenti! Certo, se la sua frase non fosse riferita al passato, ma al presente, sarebbe molto più veritiera: pastori che solennemente sottoscrivono la confessione di fede impegnandosi a professarne le dottrine e che poi fanno tutt’altro non possono certo essere accusati di avere “idee fissiste”.
Dalla lettera del 5 ottobre 1661 con cui Antonio Legero presentava il testo della Confessione di Fede:
“I nemici più pericolosi della Chiesa non sono quelli che credono di far servitio a Dio perseguitandola esteriormente con ferro e fuoco, ma gl’errori e li vitij che appestano gl’animi nel di dentro col soffio dell’antico serpente, padre della menzogna, e spirito immondo”. |
L’Avvenire, il giornale dei Vescovi, chiede: “Perché non avete invitato i dissenzienti?” – Pastore Platone: “Non c’era il tempo” – Quando c’è il tempo?
Terminato anche l’intervento del professor Benedetto, ancora non si è capito che cosa abbia deciso il Sinodo sulla famiglia, se non che vuole modificare il Documento del 1971 – ritenuto “obsoleto”. Meno ancora sappiamo quali siano le basi bibliche di quella decisione. Ricordiamo infatti che, in base all’articolo 27 della Disciplina Valdese, il Sinodo è sì “la massima autorità umana della Chiesa in materia dottrinaria”. Ma quello stesso articolo, nel comma precedente, dice che il Sinodo “nello svolgimento delle sue attività agisce nell’obbedienza alla Parola di Dio”. Se non lo fa, evidentemente, non ha più quella “massima autorità”. Nonostante questo, il pastore Giuseppe Platone (moderatore della conferenza stampa) nel riprendere la parola dice: “Come avete visto la riflessione è estremamente interessante e coinvolgente anche perché non si ferma appunto sul terreno sociale, sociologico, ma produce anche una riflessione teologica, che ha una sua radice biblica” .
Come già detto, i due “teologi” la Bibbia l’hanno appena appena menzionata ma, a quanto pare, ciò sembra bastare! Del resto, lo schema di ragionamento dei “nuovi teologi” sembra essere questo: uno tira fuori un’opinione e, purché sia allineata con determinate correnti politico-culturali, essa è approvata dalla nomenklatura della chiesa. Questa è la parte “sociologica”. La parte “teologica” consiste nel dire che quella opinione è sostenuta dalla Bibbia o addirittura “biblica al cento per cento”. Di solito questo basta e avanza (ed è quello che hanno fatto qui i teologi Ribet e Benedetto). Se si vuole proprio andare per il sottile, si cita qualche versetto sull’amore per il prossimo, o il fatto che Gesù frequentava anche coloro che la società del tempo emarginava, ed ecco che si acclama la “radice biblica”!
A questo punto, Platone dà la parola ai giornalisti presenti che vogliano porre domande “sul tema delle tante e diverse famiglie e della loro interpretazione e della loro realtà”. Anche su questo sarebbe stato interessante saperne di più dai due intervenuti ma, a parte qualche gioco di parole sulla “separazione”, nulla è stato detto. Comunque, resta il dogma (fintantoché non è spiegato tale resta) delle “tante famiglie”.
La prima domanda viene da Marco Rostan, che scrive su Riforma. “Si torna a parlare e sperimentare forme di convivenza: come ci sono i gruppi di acquisto solidale, ci sono dei tentativi di co-housing. Allora, nella storia della Chiesa Valdese ci sono alcuni esempi di tentativi di convivenza di famiglie allargate, penso ai gruppi residenti in centri come Agape, Riesi e delle comuni. Io ho fatto parte di due comuni, una a Roma, tre famiglie, e una a Cinisello Balsamo che gestiva una scuola popolare, soprattutto, insieme ad altre attività, formata da una ventina di persone, famiglie singoli, bambini eccetera. Queste comuni non erano intese come alcune comuni post-sessantottine, specialmente in Germania, ‘superamento della famiglia borghese’ e tutte quelle balle lì, ma erano dei tentativi diversi. Tra l’altro, non delle comuni introverse ma avevano delle attività comuni. Mi domando come mai nella Chiesa Valdese di queste esperienze si è riflettuto poco, e mi domando se in qualche forma sarebbero delle esperienze che potrebbero essere presenti nelle discussioni sulla famiglia.”
Rostan ha ragione: se “famiglia” e qualsiasi tipo di aggregazione umana, le “comuni”, anche quelle del “superamento della famiglia borghese” (cioè quelle del “libero amore”), e persino i gruppi che temporaneamente risiedono ad Agape o Riesi, sono anch’essi famiglia. Si tratterebbe tutt’al più di stabilire dei tempi minimi di convivenza per ottenere il nome di “famiglia”. Ad esempio, il gruppo di persone che stanno sullo stesso autobus sono una “famiglia” o no? Sarà meglio dire di sì per evitare di essere considerati retrogradi o di volere imporre agli altri il proprio concetto di famiglia…
Assai più scomode le domande di Donatella Coalova, inviata del quotidiano Avvenire, di proprietà della Conferenza Episcopale Italiana cattolica. Ecco che cosa ha detto: “C’è una domanda che vorrei farvi con quel senso molto vivo di fraternità ed affetto che io ho per i protestanti, ma che dà anche voce a una preoccupazione che ho nel cuore. Ebbene, io ricordo con quel senso molto vivo di entusiasmo e di gioia che c’era stato quando si era giunti al documento sui matrimoni misti che era stato approvato in forma ufficiale sia dalla Chiesa Cattolica che dalle Chiese Valdesi e Metodiste e avevo visto tutta l’emozione che aveva vissuto in particolare monsignor Giachetti (all’epoca vescovo di Pinerolo, Nota della Redazione) che era stato uno dei membri della Chiesa Cattolica che avevano seguito tutto l’iter per giungere a questo documento. Quindi momenti di grande gioia e di entusiasmo quando poi si era arrivati ad avere finalmente questo testo comune. Allora io mi chiedo questo: se verrà fatto nel giro di alcuni anni, adesso voi lavorate per stendere un documento che in qualche modo sostituirà il documento del 1971, che viene definito obsoleto, e che sarà un testo immagino che avrà un valore di regolamento per la vostra chiesa. Io mi chiedo: ci saranno delle conseguenze sul testo, sulle intese che già erano state raggiunte per quello che riguardava i matrimoni interconfessionali?
E poi, al di là di questo aspetto specifico, di questo specifico documento io mi chiedo in generale quali saranno le conseguenze per quello che riguarda i rapporti ecumenici con la Chiesa Cattolica, ovviamente sono questioni grosse che creeranno e che già hanno creato delle difficoltà non soltanto con la Chiesa Cattolica, ma anche con altre chiese.
E poi un’altra domanda. Molto fraternamente, vorrei permettermi di dire: all’interno della vostra chiesa sono presenti delle sfumature diverse, anche prese di posizione su queste questioni. Non sarebbe bello in una conferenza stampa come questa che ci fosse presente una persona che ha delle posizioni totalmente diverse rispetto alle vostre? Perché comunque all’interno della vostra chiesa c’è un dibattito che è molto vivo. Per esempio, poteva esserci qui presente un pastore africano o comunque una persona che ha posizioni diverse. Questo avrebbe fatto vedere la ricchezza appunto di atteggiamenti che c’è all’interno della vostra chiesa e penso che questo avrebbe sottolineato una volta di più quel rispetto per le minoranze che sono presenti su determinate questioni.”
Su quest’ultima fastidiosa domanda, il pastore Platone preferisce non affidare la risposta agli altri e replica subito: “Se non ci sono altre domande credo che possiamo passare alle risposte. Però volevo dire una cosa come uno degli organizzatori della conferenza stampa a proposito dell’ultimo interrogativo, circa il fatto che non ci sono altri esponenti. Attenzione: questo non è un convegno di studio, è un quarto d’ora di question time sul tema: ‘il Sinodo invia alle chiese locali un documento circa i nuovi volti delle famiglie’, chiamiamolo così. Qui ci sono due estensori del documento, altri sette o otto non ci sono perché… Quindi non è che vogliamo fare un dibattito sul vedere tutte le posizioni. Non ne avremmo il tempo. Comunque è molto interessante il fatto di sapere, lo sappiamo anche noi, che ci sono posizioni anche diverse. Guai se non fosse così.”
“Lo sappiamo anche noi” che non tutti sono d’accordo, dice Platone. Eppure, alle centinaia di migliaia di lettori dell’Espresso, pochi mesi fa aveva detto il contrario. Dopo aver celebrato il matrimonio/benedizione di Ciro e Guido il giornalista del settimanale gli domandava: “Ci sono state reazioni negative ‘tra i vostri’ ?”. Lui rispondeva: “Qualche difficoltà solo nel mondo pentecostale: sono più fermi al dettato biblico dell’omosessualità come peccato”. Ora, di fronte alla domanda di Donatella Coalova, rovescia la versione secndo cui non c’è “nessun dissenso”, e addirittura dice “lo sappiamo anche noi” , e persino “Guai se non fosse così”. Non soffermiamoci su questo, perché c’è di peggio.
Vogliono far credere alla garbatissima giornalista che è solo perché c’è poco tempo che non danno spazio ai dissenzienti! La realtà è che di solito non ammettono neppure che il dissenso esiste! Quando lo individuano, altro che dibattito, vogliono fare “rieducazione” come per i criminali psicopatici. “Io credo che la discussione dell’anno scorso abbia insegnato che veramente le nostre chiese, le nostre donne, i nostri uomini andavano rieducati alla lettura della Bibbia” disse la pastora Di Carlo durante il Sinodo 2011. Giustamente la giornalista dell’Avvenire dice che la presenza di dissenzienti “avrebbe sottolineato una volta di più quel rispetto per le minoranze”. Se il rispetto per le minoranze vi fosse, la presenza di un dissenziente l’avrebbe “sottolineato”. Ma siccome di rispetto non c’è neanche l’ombra, coerentemente le minoranze sono al bando. Tra l’altro, se ci fosse questo rispetto, come mai nella commissione che ha steso quel documento, la Tavola non ha inserito neanche uno dei tanti che la pensa diversamente, magari un pastore delle comunità etniche africane, appunto? Del resto, nell’intervento dove parlava di rieducazione, la pastora Di Carlo proseguiva attaccando valdesi.eu, sia pure senza nominarlo. Queste oblique, e infondate, allusioni, sono state l’unica premessa alla condanna sinodale. La condanna della minoranza, per motivi falsi, non è precisamente indice di rispetto.
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