Paolo Castellina, predicazione del 30 marzo 2003
Sintesi |
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Del nome di Cristo sicuramente se n’è abusato e se ne abusa, ma la Sua Persona, come traspare nei vangeli e nell’insegnamento apostolico, è al di là di ogni sospetto e continua a brillare di luce purissima. E’ per questo che ancora oggi vi sono persone senza pregiudizi come quei greci di cui parla il testo biblico di questa settimana (Giovanni 12:20-26) chiedono ai Suoi discepoli di potere incontrare Gesù. Non hanno pregiudizi al riguardo e non intendono imporgli le loro idee. Vogliono conoscerlo direttamente. Non ne saranno delusi. Rimane vero ancora oggi. Vediamo come. |
Aspirazioni del cuore
Vi sono persone per le quali la natura, il mondo naturale, contrapposto a quell’artificiale prodotto dall’uomo, è un valore molto importante. Il loro ideale è essere in totale armonia con la natura, vogliono immergersi in essa, vivendo in modo semplice ed immediato …nel bosco, sui monti, insieme agli animali e le “cose semplici e genuine”, così essi dicono. Il vento gelido dell’inverno sul loro viso fa loro piacere e si sentono appagati e contenti. Possiamo vedere persone così fra autentici sportivi, fra coloro che, solitari, amano scalare montagne, avventurarsi fra i ghiacci del circolo polare, attraversare gli oceani a bordo di barche a vela, volare con palloni aerostatici girando il mondo, o semplicemente persone che fuggono “dalla civiltà” viaggiando, il più spesso possibile nelle zone selvagge, sempre più rare, di questo mondo.
Quello che vi ho sommariamente descritto, è il modo che alcuni hanno, di soddisfare il desiderio di comunione che c’è nel loro cuore. C’è da chiedersi se trovano veramente quello che cercano, perché noi sappiamo che il cuore umano sarà sempre inquieto, finché non trova riposo in Dio, nel Dio vero e vivente, e stabiliscono autentica e personale comunione con la Persona di Dio. Dico Persona perché Dio non può essere trovato, in questo modo, né nella natura, né in noi stessi, non essendo Egli una forza astratta, ma, appunto, Persona, immensamente superiore a noi, ma pur sempre Persona. La natura, infatti, esagerandone l’importanza, può diventare un idolo che, come ogni idolo, non è in grado di soddisfare veramente coloro che l’adorano. Dentro di noi, inoltre, si può solo trovare non solo il frutto delle nostre fantasie, ma pure gli inganni del nostro cuore corrotto.
Nel testo biblico che oggi è sottoposto alla nostra attenzione, troviamo delle persone che, identificate come greci, esprimono il desiderio, l’aspirazione, di incontrare il Signore e Salvatore Gesù Cristo, di “vedere” Gesù. Si tratta di una preziosissima ed insostituibile aspirazione, perché quella “comunione” alla quale noi aspiriamo non si può trovare nella natura, ma solo incontrando Gesù, il “luogo” per eccellenza dove Dio ha voluto rivelarsi. In questo testo, inoltre, Gesù pure spiega in che modo Egli abbia possa rendere possibile in Lui, di fatto, questa comunione fra la creatura umana e Dio.
Il testo biblico
Leggiamo, allora, quanto troviamo nel vangelo secondo Giovanni, al capitolo 12, i versetti da 20 a 26.
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- “(20) Or tra quelli che salivano alla festa per adorare c’erano alcuni Greci. (21) Questi dunque, avvicinatisi a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, gli fecero questa richiesta: «Signore, vorremmo vedere Gesù». (22) Filippo andò a dirlo ad Andrea; e Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. (23) Gesù rispose loro, dicendo: «L’ora è venuta, che il Figlio dell’uomo dev’essere glorificato. (24) In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto. (25) Chi ama la sua vita, la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna. (26) Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l’onorerà” (Gv. 12:20-26).
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La situazione che il testo descrive, si colloca dopo l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. Il Suo ingresso in città, come sapete, avviene in modo molto particolare: Gesù arriva cavalcando un umile asinello. Il fatto avviene come le antiche profezie avevano annunciato. La fama di Gesù si era sparsa già dovunque a causa dei grandi segni miracolosi da Lui compiuti, e così una gran folla lo accoglie piena di grandi attese. “Ecco dunque il Messia lungamente aspettato,” sembravano dire, “il giorno della nostra liberazione è vicino!”.
Non tutti, però, sono entusiasti dell’arrivo di Gesù. Le autorità israelite sono molto preoccupate, non solo perché temono di perdere la loro influenza ed autorità presso il popolo, ma perché, credendo che Gesù sia un altro falso, fanatico ed illuso “aspirante messia”, temono, “con gran senso di responsabilità” un altro disastro, un ulteriore bagno di sangue per opera degli invasori romani. Non osano, però, intervenire perché, come dice il versetto precedente, “il mondo gli corre dietro” (19).
1. “Vedere” Gesù
A. Un interesse che travalica Israele. Che il mondo davvero “gli corra dietro”, è messo ironicamente in evidenza proprio nei primi versetti del nostro testo, dove troviamo, appunto, la richiesta che alcuni greci fanno ai discepoli di Gesù, di poter avere con Lui un colloquio privato. “Or tra quelli che salivano alla festa per adorare c’erano alcuni Greci.
Questi dunque, avvicinatisi a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, gli fecero questa richiesta: «Signore, vorremmo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea; e Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù” (20-22). Davvero la fama di Gesù aveva valicato gli stretti confini d’Israele! A quel tempo molti stranieri (come testimoniano gli stessi vangeli) erano attratti dalla fede d’Israele e partecipavano al culto, benché non si sottoponessero alla circoncisione e non fosseropienamente accolti come membri, a tutti gli effetti, del popolo d’Israele.
B. Gente “alla ricerca”. I greci erano considerati, nel mondo antico, come dei nomadi, gente alla ricerca della verità. Che gioia, per questi greci, veder terminare la loro ricerca quando incontrano, in Israele, il Dio vero e vivente! Ecco veramente chi può soddisfare l’ansia del loro cuore! Quale particolare soddisfazione, inoltre, essere presenti proprio quando in Israele si manifesta il Messia promesso: Gesù di Nazareth. Non esitano dunque un solo momento, quando si presenta loro l’opportunità, per chiedere un incontro personale col Cristo!
Non si tratta per loro d’una pretesa, di un privilegio illegittimo. Essi comprendono che non basta “sapere di Gesù”: è necessario stabilire con Lui un rapporto personale.
Accoglierà Egli la loro richiesta? Il testo non lo dice. Una cosa, però, noi sappiamo: Gesù non respinge nessuno che vada a Lui con fiducia. Egli disse, infatti: “Tutti quelli che il Padre mi dà verranno a me; e colui che viene a me, non lo caccerò fuori” (Giovanni 6:37).
Anche oggi molti sono sinceramente alla ricerca della verità. Quando odono il messaggio dell’Evangelo che parla loro di Gesù, a loro pure si rivolge l’appello: “Provate e vedrete quanto il SIGNORE è buono! Beato l’uomo che confida in lui” (Salmi 34:8). Chiedono così ai Suoi ministri di aiutarli ad incontrare Gesù (questo è il compito e privilegio affidato da Dio ai ministri dell’Evangelo) e, tramite loro, essi Lo incontrano, Lo “vedono” e direttamente “gustano la Sua bontà” (1 Pietro 2:3). Quello di cui prima solo avevano sentito parlare, ora, “vedendolo”, ne hanno esperienza diretta.
Erano saliti a Gerusalemme per la festa di Pasqua: incontrando Gesù, questa festa non sarà più solo una celebrazione rituale, ma ne comprenderanno il significato profondo, partecipando ad essa in modo davvero autentico. Lo stesso vale per le nostre feste religiose: se in esse realmente non “vediamo” Gesù, allora ne perdiamo del tutto il senso. Anche altri dicono di essere alla ricerca della verità: provano piacere a provare “un po’ di questo, un po’ di quello”, fra ciò che offre questo mondo. Paradossalmente, però, “cercano sempre d’imparare e non possono mai giungere alla conoscenza della verità” (2 Ti. 3:7).
Perché? Perché per loro “il bello” è cercare, e non trovare… come quei pescatori il cui piacere principale è la pesca di per sé stessa. Se tirano su un pesce, lo ributtano in acqua… Trovano, magari, Gesù. Sarebbe Lui la risposta al desiderio del loro cuore, ma non chiedono di incontrarlo personalmente. Preferiscono …continuare a cercare! Senza dubbio, cercare perennemente è più comodo, meno compromettente!
C. La risposta definitiva alle aspirazioni umane. Il fatto che, in quest’occasione, questi greci fossero venuti a Gesù, diventa pure simbolo ed anticipazione di tutti quei pagani che giungeranno a adorare Dio per mezzo di Cristo. Egli, infatti, è Colui che rivela il vero volto di Dio e Colui che Iddio ha stabilito come mediatore fra Se stesso e la creatura umana.
Attraverso Gesù, infatti, si realizza completa riconciliazione fra la creatura umana e Dio. Attraverso Gesù, si conosce Dio e si realizza un personale e vivo rapporto con Lui, ciò di cui tutti avrebbero bisogno per rendere compiuta la loro vita. Qui è, altresì, indicativo che questi greci, stranieri per gli Israeliti, vedano proprio loro, in Gesù, il compimento della fede d’Israele. Coloro che, invece, avrebbero dovuto vederlo, perché maggiormente familiari con le Sacre Scritture, le autorità religiose israelite, erano cieche a questo fatto o facevano finta di non vederlo. Quante volte succede anche oggi che molti abbiano udito più volte l’Evangelo, ed abbiano in casa più copie della Bibbia, eppure ancora non abbiano “veduto” il Cristo come personale loro Signore e Salvatore.
2. La gloria di Gesù
La risposta di Gesù, quando gli riferiscono della richiesta di quei greci, assume per i Suoi discepoli, e per noi oggi, il valore di una nuova lezione da apprendere e radicare nel nostro cuore. La prima lezione è sull’universalità della missione di Gesù, destinata a toccare gente d’ogni luogo e tempo ed essere coinvolta nell’opera di salvezza che solo Gesù può operare.
A. La gioia della conversione. Egli, infatti, prevede l’abbondante raccolto della conversione delle genti al Dio vero e vivente, di cui questi greci sono, in una certa misura, “la primizia”. Gesù dice, infatti: ” L’ora è venuta, che il Figlio dell’uomo dev’essere glorificato” ed è come se avesse detto: “Ah, è proprio così? Ma guarda! Dei pagani cominciano a chiedere di me? Allora è davvero giunta l’ora in cui dovrò essere glorificato”. Non era una sorpresa per Gesù, ma un paradosso per coloro che allora Lo circondavano. La moltiplicazione dei redenti è occasione di gran gloria per il Redentore. Sarebbe venuto il tempo in cui il Cristo sarebbe stato glorificato, e Gesù ne parla con grand’esultanza. Gesù disse una volta: “Vi dico che così ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento” (Luca 15:7).
Come, infatti, non essere esultanti e felici quando un peccatore apre gli occhi su se stesso, si ravvede, viene a Cristo con fede, ed è così strappato da un destino eterno di condanna e miseria?
B. Una glorificazione non come avviene in questo mondo. In che modo, però, sarà raggiunto quest’entusiasmante risultato? E’ quello che pure Gesù rileva con la Sua risposta. Nel nostro testo, i discepoli di Gesù sembrano molto impressionati dal fatto che il loro Maestro riscuota così tanta fama, non solo fra la loro gente, ma anche all’estero! Essi si sentono molto onorati d’essere discepoli d’Uno che riscuote così tanta fama, d’Uno che “l’intero mondo” glorifica. L’ora della “glorificazione” è giunta, e l’arrivo di questi stranieri ne costituisce un’ulteriore conferma. Che cosa intende esattamente, Gesù, però, per “essere glorificato”? Equivale forse questo alla “gloria” alla quale molti aspirano in questo mondo? Non proprio: la gloria di Gesù sarebbe passata attraverso l’umiliazione dell’apparente sconfitta, la Sua sofferenza, morte in croce e sepoltura.
C. Una morte vicaria. Si tratta di uno dei paradossi della fede cristiana. Per la maggior parte delle persone, la morte è considerata il momento della massima umiliazione e sconfitta, sante aspirazioni: realizzate in Gesù, ma per Gesù la morte è il mezzo per entrare nella gloria. Lo conduce alla gloria autentica la Sua volontà di morire, in ubbidienza al Padre. Com’è possibile?
Perché la salvezza ed il perdono che Gesù consegue per i peccatori, non è una “salvezza a buon mercato”. Essa prende in considerazione la serietà della Legge stabilita da Dio sull’intero universo. Il colpevole deve pagare, la giustizia deve essere soddisfatta. Il peccato è uno spaventoso affronto alla maestà ed alla santità di Dio, e comporta l’eliminazione totale, la morte del trasgressore. Questo noi meritiamo, perché siamo trasgressori della Legge di Dio.
Che cos’avviene, però? Giunge il Salvatore Gesù Cristo, ed assume lui stesso, per amore, in luogo del peccatore, la conseguenza ultima del nostro peccato, e prende Lui il posto del trasgressore, morendo Lui stesso, in vece sua. E’ così che Gesù acquisisce “gloria”, è Lui stesso che paga il prezzo della salvezza di molti. E’ questo che Gesù torna ad annunciare anche in questa circostanza ai Suoi perplessi discepoli. L’umiliazione è la via attraverso la quale il Cristo, il Mediatore, deve passare per raggiungere la gloria della risurrezione e dell’ascensione alla destra di Dio.
3. Gesù, come un seme
La stessa parola italiana “umiliazione” deriva dal termine latino “humus”, vale a dire terra, ed è proprio della terra di cui qui parla Gesù, la terra in cui, come un seme, Egli deve cadere, morire ed essere sotterrato, perché solo così il seme può produrre “molto frutto”. Le Sue parole, infatti, sono: “In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto” (24).
Gesù indica qui che la legge della morte sacrificale e benefica trova chiari corrispettivi nel creato stesso, nella natura. Anche qui troviamo per noi una sana correzione di ciò che generalmente noi crediamo. Normalmente noi riteniamo che la sofferenza e la morte siano negative e da evitare il più possibile. Qui, però, troviamo come la morte possa avere un valore positivo e costruttivo, anzi, come in molti casi la morte sia necessaria, se essa è offerta volontaria di sé stessi, fatta con amore e per amore! In ultima analisi, nulla che accada in questo mondo, morte compresa, è “inutile”, perché ogni cosa è da inquadrarsi nei decreti eterni della volontà di Dio, anche quando per noi è sgradevole e indesiderata.
Perché possa avvenire il raccolto, è necessaria una morte. Il seme è posto nella terra, lì si dissolve, come tale scompare. Dalla sua scomparsa è generata una piantina che cresce, fino a innalzarsi verso il cielo e produrre frutti. Non si piange la scomparsa e “lo spreco” di un seme, “gettato via” nella terra, ma ci si rallegra della sua scomparsa, perché senza di essa non si potrà ottenere alcuna pianta ed alcun frutto.
Ecco così come Gesù usi il paragone della crescita del frumento da un seme come spiegazione della Sua opera redentrice. La Sua morte, in un certo luogo e tempo, aprirà le porte della salvezza per gente d’ogni epoca e nazione, rendendola possibile e certa.
Spesso, noi “profani” non conosciamo, o non comprendiamo, il senso e le modalità dei fenomeni naturali come la crescita di una pianta. Siamo contenti, però, di goderne i frutti. Allo stesso modo, anche se non riusciamo a cogliere completamente il senso della particolare vicenda di Gesù, accogliamola con fiducia, e ne gusteremo i frutti.
4. Un principio universale
Che il concetto di “morte utile e produttiva” sia un principio universale, valido sempre, è messo in chiara evidenza dalle stesse parole di Gesù che seguono. La similitudine del seme di frumento illustra, per Gesù, un principio generale: dalla morte, a certe condizioni, può nascere la vita. E’ la dedizione completa e sacrificale alla sante aspirazioni: realizzate in Gesù, missione affidatagli da Dio Padre, che Gli permetterà di raggiungere il Suo obiettivo: la salvezza eterna di molti. Accade sempre: pensate, ad esempio, al contadino: è attraverso un duro lavoro che alla fine potrà ottenere “molto frutto”, un buon raccolto. Gesù, infatti, dà completamente se stesso per “raccogliere” alla fine la salvezza degli eletti.
Lo stesso principio, così deve valere per i Suoi discepoli: “Chi ama la sua vita, la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna” (25). Il discepolo deve “odiare la sua vita in questo mondo”, vale a dire essere talmente dedicato a Cristo da mettere le cose di questo mondo in secondo piano, e persino, se necessario, rinunciare ad esse, se questo vuol dire conseguire ciò che è gradito a Dio.
Il discepolo di Cristo deve essere pronto a “odiare la sua stessa vita”, il suo comodo, il suo tornaconto ed interesse immediato. Talvolta è proprio non considerando per nulla i nostri interessi, che noi, alla fin fine, possiamo davvero servirli. Trascurare i nostri interessi immediati, può significare garantirci quelli ultimi e permanenti.
Le conseguenze di un amore disordinato per “la vita” possono, infatti, essere fatali. Molti sono così affaccendati a garantirsi beni terreni e transitori, tanto da pregiudicarsi quelli celesti e permanenti. Chi è tanto “innamorato” del mondo tanto da respingere Cristo, alla fin fine perde tutto. Chi, invece, investe la Sua vita nei beni spirituali ed eterni, checché ne pensi o ne dica il mondo, sarà colui che alla fine, avrà guadagnato più di tutti! Il cristiano “muore a se stesso” e di questo pure è simbolo lo stesso suo battesimo. Coloro che sono tutti assorbiti dagli interessi della vita sulla terra e servono solo se stessi, non otterranno ciò che sperano, e andranno incontro a bancarotta morale e spirituale, mentre coloro che sanno staccarsi dagli interessi mondani, relativizzandoli, per concentrarsi nell’adempimento della volontà di Dio per loro, raggiungeranno, attraverso l’opera di Cristo, alla vita significativa ed eterna.. Si tratta di un paradosso la cui verità si potrà comprendere solo ponendosi con fedeltà al servizio di Cristo e rimanendo in comunione con Lui.
Per servire Gesù bisogna seguirlo e molti veri Suoi servitori lo hanno seguito anche nella morte. Secondo la tradizione, i primi discepoli morirono come martiri e le parole che qui Gesù pronunzia, diventano una profezia ed anche una promessa: i Suoi veri discepoli
5. Un premio sicuro
Il sacrificio di se stessi, per amore di Cristo e del prossimo, sarà ampiamente ricompensato, dice il versetto finale del nostro testo: “Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l’onorerà” (26). Chi è pronto a seguire Gesù nell’umiliazione di questo mondo, sarà pure con Lui nell’onore e nella gloria: questo è certo e sicuro. L’apostolo Paolo scrisse: “Certa è quest’affermazione: se siamo morti con lui, con lui anche vivremo; se abbiamo costanza, con lui anche regneremo; se lo rinnegheremo anch’egli ci rinnegherà; se siamo infedeli, egli rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2 Timoteo 2:11-13). Qual è la ricompensa che Gesù promette ai Suoi servitori?
1. La gioia della comunione con Lui. Essi saranno, in primo luogo, felici con Lui: “Là dove sono io, sarà anche il mio servitore”. Gesù intende, senza dubbio, l’essere con Lui in paradiso. Cristo parla della gioia del cielo, come se già vi si trovasse, dice: “Dove io sono” perché di questo era sicuro ed a questo era vicino. La stessa gioia e gloria Egli considera ricompensa sufficiente per tutti i servizi e sofferenze che Egli propone ai Suoi servitori.
Coloro che Lo seguono sulla via, alla fine saranno con Lui. Com’è, infatti, possibile essere con Lui un giorno, nella gloria del paradiso, se, in questo mondo, noi non l’abbiamo seguito per la via sulla quale Egli camminava?
2. Essi saranno, poi, onorati da Dio Padre, il quale compenserà le loro sofferenze e perdite conferendo loro onore, ben di là da quanto quelli del mondo si aspettano di ricevere. Il premio è l’onore, vero e durevole onore, il più alto onore, quello che proviene da Dio. Coloro che onorano Cristo saranno onorati da Dio. Coloro che onorano Cristo accettano di essere umiliati e sviliti dal mondo: a tempo debito saranno compensati.
Conclusione
Che cosa è avvenuto a quei greci di cui il nostro testo parla, non ci è detto, ma abbiamo le basi per essere certi che coloro che, presso Cristo, hanno chiesto indicazioni di come raggiungere il cielo e le hanno seguite senza esitazione, l’hanno trovato ed ora vivono in esso in comunione con Cristo. Le loro sante e giuste aspirazioni sono state soddisfatte, in Cristo.
Questo vale per me e per voi ai quali oggi mi rivolgo. E’ la testimonianza che al riguardo ci dà la Scrittura, eterna Parola di verità. Disse lo scrittore cristiano A. W. Tozer: “I cristiani hanno ogni diritto ad essere le persone più felici del mondo. Per questo, però, non dobbiamo guardare ad altre fonti che non siano Cristo, alla Sua Parola. E’ là che scopriamo come possiamo conoscere l’Iddio fedele lassù ed attingere alle Sue risorse”.
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