Un importante precedente di politicizzazione (e de-biblizzazione) di una chiesa evangelica

La politicizzazione di una chiesa cristiana è cosa tutt’altro che nuova, anche in ambito protestante. Il principio Cuius regio eius religio imposto con la Pace di Augusta del 1555 (peraltro sconfitto dai Valdesi con la vittoriosa resistenza armata del 1561, appena sei anni dopo), sembra esserne un esempio, poiché la confessione dei sudditi di una regione dipendeva da quella del principe. Anche il fatto che, persino oggi, il sovrano d’Inghilterra sia il capo della Chiesa Anglicana, ovvero che le chiese evangelico luterane di Norvegia e Danimarca siano religioni di Stato sembrano altri esempi. In realtà, si trattava e si tratta, con modi assai diversi, di una forma di prevalenza (oggi quasi solo simbolica) di un credo in uno Stato.

Le ideologie del XX secolo hanno invece rovesciato il rapporto: ideologie politiche hanno voluto piegare ai propri fini e alla propria visione del mondo il credo religioso prevalente. Emblematico in questo è l’azione del partito e poi del regime nazionalsocialista di Adolf Hitler per conformare le chiese evangeliche tedesche alla loro ideologia totalitaria, razzista e anti-giudaica. A tale scopo, coerentemente con il principio del capo (Führerprinzip) e la rigida organizzazione nazista, evangelici nazisti diedero vita ai Deutschen Christen, che già nel 1931 vinsero le elezioni nella Chiesa Evangelica dell’Unione Prussiana, e – usando senza scrupoli e con i metodi della lotta politica ogni spazio all’interno delle chiese, prive altri “partiti” organizzati – arrivarono a prendere i due terzi dei voti a livello nazionale nel novembre 1932. La loro parola d’ordine principale era Gleichschaltung cioè “mettere al passo” la Chiesa alle “verità” naziste, che includevano anche convincimenti scientifici sulla razza e sull’eugenetica, all’epoca assai diffusi anche al di fuori delle ideologie totalitarie.

L’attacco all’Antico Testamento per nazificare anche il Nuovo. Prendendo lo spunto dalla tendenza in atto da tempo di declassare l’Antico Testamento, sia dal punto di vista spirituale sia dal punto di vista storico, i Deutsche Christen si proponevano di de-giudaizzare la Bibbia. Già nel 1917 il pastore Friedrich Andersen, lo scrittore Adolf Bartels e Hans Paul Freiherr von Wolzogen presentarono le nuove 95 Tesi per un Cristianesimo Tedesco a base protestante. Eccone un saggio significativo:

Le recenti ricerche scientifiche razziali hanno finalmente aperto i nostri occhi sui perniciosi effetti del mescolare il sangue germanico con quello di altri popoli e ci spinge a lottare con tutte le nostre forze per mantenere puro e chiuso il nostro essere popolo. Una stretta connessione tra cristianesimo e germanicità si può ottenere solo se il primo è liberato dalla sua innaturale connessione che lo avvicina alla religione ebraica”.

Secondo costoro, tutte le Scritture andavano reinterpretate alla luce del fatto che la predicazione di Cristo consisteva essenzialmente in una sincera fiducia in Dio e in un amore che andava al di là dell’individuo (cioè finalizzato al “popolo”). Andava dunque rigettato il “servile timore di Dio” e “il moralismo materialistico” tipico degli Ebrei e dell’Antico Testamento, Dieci Comandamenti inclusi. Anche il Nuovo Testamento andava “ripulito” dale influenze giudaiche.

 Purtroppo, in questi deliri c’è qualcosa che ci suona fin troppo familiare.

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