Pierre Allix (1641-1717), era un pastore francese ugonotto, costretto a rifugiarsi in Inghilterra dopo la revoca dell’editto di Nantes nel 1685. Fu dottore in teologia a Cambridge e scrisse molte opere di teologia e storia. Tra queste, è particolarmente interessante per noi Some Remarks upon the Ecclesiastical History of the ancient Church of Piedmont (“Alcune osservazioni sulla storia ecclesiastica dell’antica Chiesa del Piemonte”), del 1690. Sicuramente la storiografia degli ultimi tre secoli ha trovato nuovi documenti, nuove fonti e ha migliorato certe analisi, facendo vari passi avanti, ma ha anche fatto passi indietro, nel senso che ha dimenticato concetti e idee che sono circolate per secoli in tutta Europa e che, quand’anche fossero state infondate, hanno fortemente influenzato il modo di pensare dei nostri antenati. Allix, infatti, nel presentare il suo libro al Re, ricorda che i Valdesi “hanno sempre preservato tra loro le sacre verità della religione cristiana loro affidate, così come le avevano ricevute dai discepoli degli Apostoli, e hanno respinto la corruzione di tali verità”. Al presente (Allix scrive mentre i Valdesi scampati ai massacri del 1686 e sopravvissuti agli orrori delle carceri sabaude sono profughi in Svizzera e Germania), “il mondo guarda a loro come irrimediabilmente perduti e definitivamente distrutti”, ma il Re sa che “Gesù Cristo li tiene per suoi discepoli e sa come frustrare i disegni di coloro che pensano di aver trionfato su di loro”. Parole straordinarie che vorremmo poter fare nostre anche oggi!
Come sappiamo, la storiografia valdese degli ultimi 150 anni si è votata all’idea secondo la quale i valdesi sono nati dal nulla da un mercante di Lione, di nome Valdo “(da cui “valdese”)… che decise, al termine di una profonda crisi spirituale, di vivere l’esperienza degli apostoli al seguito di Cristo… Il movimento valdese, detto “dei poveri”, di Lione in Francia e di Lombardia in Italia, si estese in Europa, raccogliendo consensi fra il popolo… Le zone in cui i valdesi si impiantarono con maggior consistenza furono le Alpi Cozie, la Provenza, la Calabria e la Germania meridionale” (dal sito ufficiale della Chiesa Valdese). Non ci sono dubbi sulla straordinaria opera di Valdo e dei suoi primi seguaci, ma non si può dare ragionevolmente per scontato che tutto nasca da una sola persona intorno al 1174 e in pochi anni si diffonda in modo così ampio. Ancor più, è difficile pensare che una nuova dottrina in certe aree, come nelle Alpi Cozie, si impianti nel giro di pochi anni al punto da diventare maggioritaria o addirittura conquistare l’intera popolazione. Queste obiezioni, di carattere logico e storiografico, sono del tutto ignorate nei libri recenti.
Infatti, in precedenza, si riteneva che i Valdesi rappresentassero la continuità apostolica avendo conservato l’autenticità e la semplicità nel cristianesimo delle origini.
Del resto, su molti altri temi vi è stata la tendenza degli storici, dalla seconda metà dell’Ottocento, a negare la realtà di quasi tutto ciò che aveva una certa antichità, in nome di un razionalismo che si contrapponeva alle “epoche buie” affette da “superstizioni” e “pulsioni irrazionali”, definizioni che nella testa di qualcuno identificano ogni forma di religione, spiritualità o fede. Di certo, molte fanfaluche andavano sfatate, ma in molti casi si è esagerato. Ad esempio, i professoroni, tedeschi in testa, nell’entusiasmo di ritenere l’Iliade una pura invenzione poetica, diedero per scontato che anche la città di Troia non esistesse e che se per caso esisteva non era dove la situava il poema, scritto secoli dopo la sua distruzione. Quando Heinrich Schliemann, un mercante improvvisatosi archeologo, senza alcun titolo scolastico, iniziò a sue spese gli scavi basandosi unicamente sull’Iliade, che conosceva a memoria in lingua originale, i suddetti professoroni proruppero in fragorose accademiche risate. Risate che si spensero quando giunse anche a Berlino la notizia che Schliemann aveva trovato, esattamente nel luogo dedotto dalla lettura dell’Iliade, ampie rovine di una grande città, che aveva subito almeno un grande incendio, come scritto nell’Iliade. Molte altre volte l’archeologia ha confutato lo scetticismo degli storici: l’antro della Sibilla Cumana, trovato come descritto da Enea, la tomba di Filippo II di Macedonia, la piscina di Betesda con i suoi cinque portici (che i “teologi” sapientoni davano per certo essere un errore di Giovanni 5:2: “come è possibile che una piscina rettangolare abbia cinque portici?”), esattamente come descritta nei vangeli e così via. Nel caso dei Valdesi è probabilmente impossibile ottenere prove del genere perché – paradossalmente – proprio il fatto di non trovare resti di luoghi di culto risalenti a prima di Valdo avvalora – anche se non dimostra – l’esistenza di una chiesa semplice e sobria. Quanto alle prove scritte, in realtà esistono, ma quando qualcuno, come l’inquisitore Reynerus Saccone, parla dei Valdesi come un’eresia già antichissima all’inizio del XIII secolo, gli storici di oggi dicono che in realtà parlava degli albigesi, dei catari, non dei valdesi. Mah!
Tornando a Pierre Allix, il suo libro parte da molto lontano e tenta di ricostruire le particolarità della cristianesimo nel Nord Italia fin dai primissimi secoli. Pur dimostrando scetticismo verso coloro che, come Baronio, autore degli Annales Ecclesiastici nel XVI secolo, attribuivano – ad esempio all’amico dell’apostolo Paolo, Barnaba la fondazione della chiesa di Milano nell’anno 51, Allix allinea una serie di elementi che, oltre ad attestare l’antichità del cristianesimo in quell’area, ci dicono che era diverso da quello presente altrove, e in particolare a Roma. Significativo è l’episodio della madre di Agostino da Ippona, Monica (Sant’Ambrogio e Santa Monica, secondo la Chiesa Cattolica) rimproverata da Sant’Ambrogio perché voleva mantenere anche a Milano l’usanza diffusa nell’Africa cristiana di portare pane e vino sulle tombe dei propri cari e fare una sorta di banchetto per celebrarli. Ambrogio lo definì “un costume pagano”. Allix si spinge ad affermare che la chiesa del Nord Italia nel IV secolo era assai più simile alle chiese protestanti del suo tempo che a quella cattolica.
(1 – continua)
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