Il settimanale Riforma pubblica nel suo numero dell’11 settembre 2013 a pagina 3, il discorso del moderatore della Chiesa valdese Eugenio Bernardini, a chiusura della sessione sinodale 2013, dal titolo “Non spegnete lo Spirito”. [Ne consigliamo vivamente la lettura integrale al link oppure sul settimanale stesso]
Ci colpisce particolarmente la sua esplicita descrizione della Chiesa valdese come una “chiesa liberal”. Non è certo una novità, anzi, è la realtà (o almeno ciò che i suoi attuali dirigenti vorrebbe che fosse e promuovono), ma che cosa intende esattamente con “chiesa liberal”? Vediamo ampi stralci di quel discorso.
“… viviamo in un tempo pieno di difficoltà per le nostre chiese ma anche di opportunità. In Italia, come nel resto d’Europa, noi viviamo in un contesto di secolarizzazione e di crescente ignoranza dei fondamenti della teologia e della vita cristiana. … Pur tuttavia, una «nuova domanda» di senso e di fede è in crescita intorno a noi e una parte di questa «nuova domanda» si rivolge verso di noi o è disponibile ad ascoltare anche la nostra risposta per metterla a confronto con altre risposte che si caratterizzano o comunque appaiono diverse dalle nostre. E che cosa vedono in noi queste persone? Con quale caratteristica, con quale identità prevalente ci identificano? Potrà piacere o no, ma il carattere prevalente che mostriamo – per teologia e cultura, per scelte etiche e sociali – è quella di una chiesa protestante liberal, cioè aperta, tollerante, dialogante, inclusiva, socialmente e politicamente impegnata ma senza arrivare agli estremi. Anzi, per dirla tutta, con questi caratteri… non sembriamo neanche una «chiesa» ma, molto più positivamente, una «comunità». Una «comunità» e non una «chiesa», … proprio per i nostri caratteri democratici, inclusivi.
Questo, lo sappiamo, dispiace a chi, tra noi, vorrebbe una chiesa più fondata, non solo sullo spirito, ma anche sulla lettera della Bibbia e della Confessione di fede del 1655. Questo, lo sappiamo, dispiace anche a chi vorrebbe una chiesa più radicale, più «profetica», insomma… meno liberal. Questo, lo sappiamo, dispiace – talvolta e su alcuni temi – anche a buona parte di quelle sorelle e fratelli delle molte nazionalità dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia che disorientiamo con le nostre scelte e con la nostra impostazione esegetica, teologica, liturgica e pastorale.
Ma questa è la realtà: nel panorama italiano, sempre più plurale, noi appariamo e siamo una chiesa liberal, che rifiuta e contrasta i fondamentalismi, i settarismi, gli integralismi vecchi e nuovi che caratterizzano fin troppo la scena religiosa e politica nazionale e mondiale; una chiesa che tiene alla libertà religiosa tanto quanto alla libertà di coscienza e ai diritti della persona. Una chiesa liberal che però – e questa deve essere una buona notizia per chi ci vorrebbe più «fondati» sulla lettera della Bibbia – non vuole spegnere lo spirito… Non spegnete lo Spirito, anzi, lasciamolo scorrere libero e creativo … in modo che la vostra chiesa dia una efficace testimonianza. Non spegnete lo Spirito, perché è lo Spirito che vi consente di discernere le profezie (I Tessalonicesi 5, 20), è lo Spirito che vi consente di esaminare ogni cosa e ritenere il bene (v. 21), è lo Spirito che vi consente di astenervi dal male (v. 22). Non spegnete lo Spirito! E noi non vogliamo spegnerlo, anzi, chiediamo al Signore di tenerlo ben accesso, ben vivo tra noi in modo che la nostra missione sia più convinta (ma non settaria) e la nostra testimonianza più credibile.
Per dire/confessare che cosa?
(1) che anche oggi e non solo ieri, Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità (1 Timoteo 2, 4), chiunque noi siamo e da qualsiasi nazione proveniamo, qualsiasi sia il nostro orientamento sessuale;
(2) che anche oggi, e non solo ieri, Gesù è il Signore che illumina e guida le nostre esistenze offrendo a tutti coloro che lo cercano il suo pane di vita, di vita vera …
(3) che anche oggi e non solo ieri, la sua chiesa è accogliente e inclusiva, semplice e povera, capace di nutrire la mente ma anche l’anima dell’uomo e della donna di oggi, e quindi di celebrare il Signore non solo con l’intelletto ma anche con il cuore, impegnata nel far crescere la cultura e la pratica della giustizia e della pace nel mondo. Come è possibile tutto questo? Non per le nostre forze o capacità, ma per la grazia di Dio. Questo è il motivo per cui siamo stati riuniti qui come chiesa, come parte della chiesa di Gesù Cristo nel mondo e nella storia; ma è anche il motivo per cui siamo qui, in Italia, in questo Paese in cui Dio misteriosamente ci ha posti – non per caso ma per un suo disegno – e nel quale siamo chiamati a pregare, evangelizzare, servire e difendere «l’orfano e la vedova» di oggi. Insomma: Dio parla e agisce anche oggi, e non solo ieri, e questo ci dà forza e speranza. Che Dio ci benedica e ci guardi.”
Questa “chiesa liberal” dispiace: questo è il punto della questione, dispiace e disorienta i fratelli e sorelle evangelici che provengono dall’estero, dispiace chi la vorrebbe più radicale, dispiace a chi, tra noi, vorrebbe una chiesa più fondata, non solo sullo spirito, ma anche sulla lettera della Bibbia e della Confessione di fede del 1655.
“Dispiace”, eppure secondo il moderatore Bernardini, quella chiesa, o meglio, secondo il discorso, “comunità inclusiva”, sembra essere “il migliore dei mondi possibili” perché risponderebbe alle aspettative del mondo moderno e darebbe spazio a tutti. Che possa così com’è rispondere a quelle aspettative ed esservi in qualche misura compatibile, lo crediamo.
Fa infatti di tutto per compiacere al mondo… ma, risponde essa alle aspettative di Dio per compiacere a Lui?
È compatibile con il messaggio ed il modello di chiesa annunciato autorevolmente dal Nuovo Testamento?
È in armonia con il suo retaggio storico ed identità confessionale?
Dà veramente spazio a tutti?
È una chiesa che veramente “non spegne lo spirito” (ammesso che con questo si intenda lo Spirito Santo come si rivela nelle Scritture)?
No, a tutte queste domande rispondiamo senza esitazione di no. La “chiesa liberal” dispiace a molti e, sì, dispiace a Dio ed è di nocumento alla testimonianza evangelica.
È vero, nel dire questo saremo sicuramente accusati di arroganza e di presunzione… ma crediamo di avere la base per poterlo dire.
Una chiesa che dispiace (e questo non sembra turbare la sua attuale classe dirigente), e soprattutto dispiace a Dio, di fatto, non ha futuro, anzi, un futuro ce l’ha, vale a dire l’esecuzione su di essa del Suo giudizio di condanna: l’inevitabile e finale disastro, trascinata nel baratro insieme a quel mondo al quale si accompagna e con il quale vuole essere “compatibile”. Perché una “chiesa liberal” è di fatto una chiesa liberata, sciolta, dissolta, anzi dissoluta da ciò che dovrebbe essere la sua norma. Vediamo perché.
Una chiesa “dissoluta”
La “chiesa liberal” è fondamentalmente una chiesa “dissoluta”, come afferma l’apostolo Giuda: “Perché si sono infiltrati fra di voi certi uomini (per i quali già da tempo è scritta questa condanna); empi che volgono in dissolutezza la grazia del nostro Dio e negano il nostro unico Padrone e Signore Gesù Cristo“[1]. È una chiesa infedele che prende a pretesto, strumentalizzandola, la grazia e la libertà donata da Dio in Cristo e si compiace delle proprie trasgressioni alla Sua Legge. Se poi si chiedono: “Che cosa stiamo trasgredendo?”, questo è parte del problema, perché significa che non lo vedono.
La “chiesa liberal”, appellandosi allo “spirito” (che pretende di seguire) contrapposto pretestuosamente alla “lettera”, è una comunità che si lascia solo sospingere, priva di discernimento, da “ogni vento di dottrina” e, compiacendo il mondo, spera così di “essere rilevante” e meglio guadagnarsi nuovi aderenti. È una chiesa che relativizza ciò che la Scrittura considera peccato e la stessa autorità delle Scritture in nome di un vangelo “tollerante” che accoglie tutti, senza pretendere ravvedimento. È una chiesa priva di disciplina biblica (uno dei segni che contraddistinguono la vera chiesa). È pure una chiesa priva della sua storia che, pur proclamandosene in continuità, vive del presente, ignorando il deposito della fede lasciatole dai padri nelle Confessioni di fede che ne definiscono i principi inalterabili.
“Lettera” contro “spirito”?
L’insegnamento delle “chiese liberal” non solo travisa i concetti biblici di Grazia e Legge, ma anche quelli di “lettera e spirito”, nel famoso versetto che dice: “la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica” (2 Corinzi 3:6). Questo testo viene tipicamente strumentalizzato per contrapporsi a quella che con disprezzo spesso viene chiamata “lettura fondamentalista” della Bibbia, appellativo con cui caratterizzano chiunque voglia attenersi all’insegnamento oggettivo della Bibbia, confessata essere senza riserve e distinguo Parola di Dio. Di fatto, non seguire il metodo storico critico della Bibbia (e i suoi presupposti increduli, quelli che la “chiesa liberal” tanto valorizza ed assolutizza) non significa leggere la Bibbia “letteralmente”, perché noi ci atteniamo a precisi principi ermeneutici che tengono ad esempio conto della grammatica del testo e dei suoi generi letterari, ma partiamo dal presupposto che essa sia autorevole Parola di Dio come Gesù stesso e gli apostoli la consideravano (e come le Confessioni di fede della Riforma chiaramente affermano). Non ci riteniamo autorizzati a criticare la Bibbia, ma lasciamo che essa critichi noi e determini il nostro pensiero, la nostra fede e la nostra condotta.
Nel testo di 2 Corinzi 3:6 la contrapposizione “lettera” e “spirito” non è quella che oppone chi si attiene rigorosamente alla rivelazione di Dio nelle Scritture a chi si lascia trasportare “liberamente” dallo Spirito di Dio relativizzando le prime[2]. Si tratta, nel contesto dell’affermazione della superiorità del Nuovo Patto rispetto all’Antico, la contrapposizione fra la Legge scritta di Dio che non salva ma condanna, perché evidenzia la nostra incapacità ad osservarla) e ciò che la forza abilitante dello Spirito di Dio in Cristo fornisce. Lo Spirito di Dio, infatti, rigenerandoci spiritualmente, e salvandoci per grazia in Cristo, ci dispone e ci abilita a quell’ubbidienza che prima ci era impossibile. Il “seguire lo Spirito” quindi, è tutt’altro che agire “liberamente” indipendentemente dall’osservanza della Legge morale di Dio così com’è rivelata nelle Scritture, ma l’opera dello Spirito che impartisce la capacità effettiva di ubbidire quella Legge[3].
[1] L’uso che qui facciamo del termine “chiesa dissoluta” è sia etimologico che morale. Il vocabolario italiano definisce “dissoluto” così: “…dal lat. dissolutus, part. pass. di dissolv?re «sciogliere». Sciolto, disciolto. Sciolto da ogni freno morale, quindi libero da ritegno, sregolato, licenzioso… . Quindi, aggiungiamo noi, che si sente libero e “sciolto” dalla legge morale di Dio, che vorrebbe “reinterpretare”. Di fatto questo è lo stesso termine usato dall’apostolo Giuda: “Perché si sono infiltrati fra di voi certi uomini (per i quali già da tempo è scritta questa condanna); empi che volgono in dissolutezza la grazia del nostro Dio e negano il nostro unico Padrone e Signore Gesù Cristo” (v. 4). Una chiesa, dunque, che abusa del concetto di grazia. Il termine reso con “dissolutezza” è ???????? [aselgheia] anche reso con “immoralità” e “lascivia” e che indica una “condotta oltraggiosa, persino “contraria alla pubblica decenza”, “insolenza che si oppone alla legge”. Non a caso le “chiese liberal” sono essenzialmente antinomiste, sfruttando ad arte il versetto: “…perché non siete sotto la legge ma sotto la grazia” (Romani 6:14), ritenendo che un malinteso “amore” sia norma sufficiente, ma contraddicendo lo stesso Gesù, che diceva: “Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento” (Matteo 5:17), quel Gesù che si opponeva non all’uso (legittimo) della legge, ma al suo abuso. Così Paolo: “Noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne fa un uso legittimo” (1 Timoteo 1:8) e “Così la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono” (Romani 7:12). Un commentario del testo di Giuda dice: “La loro empietà si manifesta in questo: che la grazia di Dio intesa ad affrancare i peccatori dalla pena e dal giogo del peccato, essi ne abusano per darsi a una vita dissoluta come se la grazia assicurasse il perdono a chi non si ravvede e desse loro la libertà di fare il male. Contro un simile abuso protestano gli apostoli p. es. Romani 6:1; 1 Pietro 2:16; Galati 5:13. Così facendo, questi empi rinnegano praticamente la sovrana autorità di Cristo che li ha riscattati ed è l’unico padrone della loro vita”.
[2] che per altro è stata sempre considerata in ogni epoca un’eresia di prim’ordine, vedasi ad esempio la polemica di Martin Lutero con gli Anabattisti e gli spiritualisti.
[3] Nel Nuovo Patto, infatti, si vede la preminenza dell’opera dello Spirito di Dio, mentre nell’Antico tutto era legato alla lettera di una legge imposta e da osservare diligentemente in modo formale. Il concetto di Nuovo Patto proviene da Geremia 31:31-34:“«Ecco, i giorni vengono», dice il SIGNORE, in cui io farò un nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che feci con i loro padri il giorno che li presi per mano per condurli fuori dal paese d’Egitto: patto che essi violarono, sebbene io fossi loro signore», dice il SIGNORE; «ma questo è il patto che farò con la casa d’Israele, dopo quei giorni», dice il SIGNORE: «io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo. Nessuno istruirà più il suo compagno o il proprio fratello, dicendo: ‘Conoscete il SIGNORE!’, poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande», dice il SIGNORE. «Poiché io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò del loro peccato»”. Il termine “nuovo” denota ciò che è qualitativamente migliore rispetto a quello esistente. Il carattere dell’antico patto è l’essere legato alla “lettera che uccide”. Il nuovo patto, d’altro canto è caratterizzato dallo “Spirito che vivifica”. “Lettera” e “Spirito” descrivono la qualità o natura dei loro rispettivi patti. Il Nuovo Patto è migliore perché non si tratta qualcosa di esteriore come una legge scritta in un libro, ma di interiore come una legge scritta nel cuore delle persone. Essa non rinnega la prima, ma la interiorizza. Un patto caratterizzato dalla “lettera” di fatto “uccide” perché esige senza dare l’effettiva capacità di mettere in pratica. Un patto caratterizzato dallo “Spirito”, però, impartisce vita perché opera nell’intimo dei credenti per produrre una trasformazione di natura e generare l’effettiva osservanza della Legge morale di Dio. L’Apostolo descrive questa trasformazione di natura quando scrive: “… rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità” (Efesini 4:24).
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